Johannes Brahms – Sinfonia n. 2 in re maggiore, op. 73
A differenza della « Prima », il cui lavoro di composizione aveva richiesto quasi quindici anni (1862-1876), la « Seconda Sinfonia » fu scritta da Brahms in pochi mesi durante l’estate del 1877 a Pörtschach sul lago di Wdrther, nell’Austria meridionale, ed eseguita per la prima volta a Vienna, con trionfo immancabile, il 30 dicembre di quello stesso anno sotto la direzione di Hans Richter.
Fuori di Vienna, invece, le accoglienze alla nuova Sinfonia non furono quasi mai quelle che Brahms si sarebbe aspettato, soprattutto in città di tradizioni illustri, come Lipsia, dove un critico scrisse dopo la prima esecuzione: « I Viennesi sono molto meno esigenti di noi.
Noi chiediamo a Brahms ben piú che della musica graziosa, molto graziosa, nelle sue Sinfonie. Non che non vogliamo da lui niente di piacevole, o che sdegniamo i quadri di vita reale che potrà presentarci, ma da lui aspettiamo sempre qualcosa di geniale, purchessia, del suo stile o sull’imitazione di Beethoven «. Pare già di essere sulla strada che condurrà, molti anni dopo, un musicista fra i piú sensibili e aperti al nuovo come Ferruccio Busoni ad affermare ingiustamente che la musica di Brahms si poteva paragonare a « uno di quei piccoli laghi di montagna in cui un fiume entra da una parte ed esce dall’altra, senza che la tranquillità del lago ne venga turbata ».
Piú che il peso della condanna che anche Brahms dovette portare per essere un sinfonista venuto dopo Beethoven (che fu sempre il suo punto di riferimento tanto ideale quanto contraddetto), occorre individuare in che cosa consista il carattere della Seconda Sinfonia, proprio nel suo peculiare stile e nella struttura formale fondamentalmente tradizionale con la quale Brahms sembra voler esaurire e superare alcune delle tendenze piú tipiche, e piú istintive, della sua personalità artistica.
Non è infatti un caso che si sia voluto definire questa « Sinfonia » come la « pastorale » di Brahms, per mettere l’accento sugli spunti in prevalenza lirici e idilliaci in essa presenti, secondo l’ottica naturalistica dell’epoca. In realtà essa sfugge a definizioni di etichetta cosí lapidarie e anche l’impronta di « sensazioni felici e ottimismo » che sembra pervaderla si pone in un rapporto molto piú complesso sia con le intenzioni espressive di Brahms sia con i mezzi della struttura sinfonica e sonatistica qui impiegati.
Nel presentare la sua nuova opera all’editore Fritz Simrock, Brahms scriveva (novembre 1877) : « La nuova Sinfonia è cosí melanconica da non potersi sopportare. Finora non avevo mai scritto nulla di cosí triste e di cosí dolce: la partitura deve uscire listata a lutto »; e poco dopo, con insistenza: « Deve pubblicare la partitura listata a lutto, in modo che mostri anche esternamente la sua melanconia ». Infine, il 29 dicembre, il giorno prima del l’esecuzione, riferiva quasi con soddisfazione a Elisabetta von Herzogenberg: « Gli orchestrali suonano la mia nuova Sinfonia con dei bracciali neri al braccio, per via del suo tono funebre. Dovrebbe inoltre essere stampata su carta listata a lutto ».
Probabilmente Brahms, tedesco di Amburgo, peccava in sottigliezza quando voleva fare dell’umorismo: ma certo questa insistita opinione sulla sua nuova Sinfonia, troppo assoluta per poter essere sinceramente vera, doveva essere dettata innanzitutto dal desiderio di non lasciare trapelare con nessuno nulla di concreto sulla musica, cosí che l’effetto fosse il piú possibile inaspettato e affidato allo stato d’animo prodotto dai puri suoni. E, almeno con i Viennesi, il gioco riuscí meravigliosamente.
Ciò non toglie che esistano nella partitura alcune caratteristiche formali e stilistiche in grado di avvalorare sia le impressioni e le definizioni della critica, sia le troppo interessate indiscrezioni fornite da Brahms: il trattamento degli strumenti a fiato, per esempio, genera reminiscenze di carattere pastorale o quanto meno naturalistico, se non apre addirittura a visioni agresti e bucoliche, in un’atmosfera conciliante di serenità e di calore umano che Brahms sa trasmettere con estrema finezza «sentimentale». O, sull’altro versante, la cantabilità dei violoncelli e in genere degli archi può essere, romanticamente, espressione di una struggente malinconia, intrisa di tristezza e di dolcezza insieme, su un vasto spettro di combinazioni timbriche. Ma non bisogna dimenticare che altrettanto essenziali alla fisionomia della « Seconda » sono gli aspetti costruttivi e formali, in cui Brahms si rivela non soltanto un creatore dalla straordinaria vena lirica e melodica e un orchestratore perfetto, ma anche una autentica personalità musicale; consapevole continuatore di una tradizione che, partendo da Haydn, attraverso Schubert e il contatto rivelatosi impossibile con Beethoven, cercò una propria strada conseguente e la trovò nella visione di una classicità intesa come dominio del passato in proiezione futura, forgiando e racchiudendo la propria esperienza non già in una musica dell’avvenire (come Wagner), ma in un avvenire della musica, come Schönberg per primo avrebbe fino in fondo chiarito nel suo celebre saggio « Brahms il Progressivo ».
Il primo tempo, « Allegro non troppo », è una delle costruzioni piú compiute e grandiose di tutta la storia del sinfonismo ottocentesco: in essa Brahms getta le basi per il superamento della forma-sonata, in una disposizione che già indica la spinta verso piú libere articolazioni formali. Dal frammento tematico iniziale dei violoncelli (tre sole note), al caldo fraseggio dei corni che introducono parte del materiale che sarà utilizzato nello sviluppo, al disteso e lirico tema dei violoncelli (« cantando ») con cui contrasta il secondo tema dalla dinamica marcata, quasi un valzer sfigurato, Brahms sembra voler rimettere in gioco tutte le possibilità di elaborazione formale della tradizione sinfonica alle sue spalle. Lo stesso ampio sviluppo, assai complesso contrappuntisticamente, segue una logica che non si esplica piú sul terreno dello sviluppo beethoveniano, ma cerca in criteri nuovi come quello della ripetizione un ordine architettonico circolare, in cui si annullino le tensioni del conflitto drammatico. L’“a solo” del corno nella coda (tematicamente l’inversione del frammento iniziale) sfocia in un abbandono lirico di sapore mahleriano, prima di dare vita a un episodio quasi di scherzo che conclude diminuendo l’intensità fino al piano il movimento.
L’« Adagio non troppo », in apparenza semplice nella sua forma ternaria A – B – A, sottintende in realtà nelle elaborazioni interne tematiche e armoniche piú vaste complessità, fin dal tema iniziale, ancora una volta affidato all’ampia cavata dei violoncelli e accompagnato dai fagotti. La sezione centrale evoca atmosfere piú serene, con un plastico nuovo tema che a poco a poco viene riassorbito nella tensione cromatica dell’inizio e quasi stravolto nel fitto ordito contrappuntistico percorso da frequenti sincopi e inframezzato da pause.
L’« Allegro grazioso », a sua volta, allarga ancora la fisionomia formale della « Sinfonia » presentando, dopo l’episodio iniziale sul tema dell’oboe accompagnato dal pizzicato dei violoncelli, due Trii, uno in 2/4 e l’altro in 3/8. La tradizione viennese e schubertiana dà qui la mano a Brahms per una fugace evocazione di un mondo perduto e ormai affidato alla memoria, anche se non del tutto rasserenato nei contrasti timbrici tra fiati e archi, nella oscillazione fra i modi maggiore e minore, nello spirito di certi ritmi ungheresi gagliardamente festosi.
L’ultimo movimento, « Allegro con spirito », a dispetto della tenue trasparenza del tema iniziale degli archi, si ricollega alla drammaticità del primo movimento già nelle espressive sincopi del secondo tema sempre dei violoncelli, in uno sviluppo sempre piú in tensione ottenuto attraverso la modificazione degli elementi d’origine e la tecnica della variazione; esso trova il punto culminante nella intensità del finale quando, sulla gioiosa staticità del pedale di tonica, Brahms sembra voler prolungare all’infinito il tempo, incrinandolo con improvvise pause come se la « Sinfonia » non dovesse piú finire.
Peter Maag / Maria Tipo
Ente autonomo del Teatro Comunale Fiorentino, Stagione Sinfonica d’autunno 1976