Nel catalogo della musica da camera di Brahms, dominata dalla presenza del pianoforte, la produzione per archi soli occupa uno spazio importante, anche se numericamente non così cospicuo come accadeva ancora in Haydn, Mozart e Beethoven. Si tratta di sette opere in tutto, composte nell’arco di poco più di trent’anni, dal 1859 al 1890, e disposte secondo un ordine nient’affatto casuale né condizionato da sollecitazioni esterne, ma anzi tipicissimo del modus operandi di Brahms nella costanza del suo procedere per coppie di lavori dello stesso genere e organico. La serie è inaugurata da due Sestetti per due violini, due viole e due violoncelli, rispettivamente op. 18 e op. 36, in si bemolle maggiore e in sol maggiore; prosegue con i due Quartetti dell’op. 51, nati quasi contemporaneamente nel 1873, e si conclude, dopo la parentesi di un isolato terzo Quartetto (op. 67, del 1874-’75), con un’altra coppia, questa volta di Quintetti per due violini, due viole e violoncello, op. 88 (1882) e op. 111 (1890). Ognuno di questi lavori pone e risolve, in se stesso e in rapporto al suo gemello, questioni formali e musicali strettamente connesse con l’organico scelto, a diversi stadi dell’evoluzione stilistica di Brahms; e non è certo casuale che la più classica di queste forme, quella non solo cronologicamente centrale del Quartetto per due violini, viola e violoncello,
abbia avuto bisogno di un terzo fratello, quasi sintesi necessaria di un procedimento per tesi e antitesi che, per quanto non inteso dialetticamente, era profondamente connaturato, e non solo per amor di simmetria, alla riflessione compositiva di Brahms, fin dall’inizio e lungo tutta la sua carriera.
Al tempo della composizione del primo Sestetto, nel 1859, il musicista ventiseienne aveva al suo attivo soltanto poche pagine per lo più pianistiche, scritte all’ombra di colui – Robert Schumann – che lo aveva additato al mondo della musica come il nuovo, grande protagonista di una nuova concezione dell’arte. Da quell’incontro folgorante, in Brahms, erano però nati anche se non soprattutto dubbi e complessi, facilmente attecchiti in un’indole tanto ipercritica verso se stessa quanto consapevole, quasi orgogliosa del proprio individuale valore. Un tentativo sinfonico fallito, poi trasformato nel Primo Concerto per pianoforte e orchestra op. 15, aveva rinviato a tempi più maturi l’approccio con la grande forma sinfonica, preparandone l’avvento con una serie di composizioni da camera e orchestrali (le due Serenate op. 11 e op. 16) che avevano il compito dichiarato di esplorare progressivamente il terreno della musica strumentale, sempre più dilatandone le dimensioni e i confini. Si spiega così, in apertura di un primo lungo e nutrito gruppo di composizioni da camera per organici diversi, la scelta del sestetto d’archi formato dal raddoppio di violino, viola e violoncello: un organico che, se non aveva alle spalle tradizioni pesanti (a parte Boccherini, l’unico compositore di una certa fama che aveva pubblicato un’opera di questo tipo era stato Louis Spohr, nel 1850), offriva possibilità di combinazioni tanto ricche e impegnative quanto concentrate e omogenee in un ambito ben precisato, al cui interno era possibile muoversi con relativa libertà.
Il Sestetto in si bemolle maggiore op. 18 per archi nacque tra il 1859 e il 1860 ad Amburgo e Bonn, e la prima esecuzione ebbe luogo il 20 ottobre 1860 a Hannover ad opera del suo dedicatario, il grande violinista Joseph Joachim; la pubblicazione seguì nel dicembre 1861. La struttura è quella in quattro tempi comunemente impiegata nelle composizioni cameristiche classiche: a un primo movimento in forma-sonata segue un movimento lento in forma di variazione e in modo minore; lo Scherzo in fa maggiore si attiene alla tradizione più pura del classicismo viennese, con un breve Trio di carattere popolareggiante, di danza rustica, e conduce al Finale, nel quale Brahms combina la forma del rondò con elementi della forma-sonata. L’articolazione tonale abbastanza elementare (il giro delle tonalità dei quattro movimenti è semplicissimo nella sua simmetria: si bemolle maggiore – re minore – fa maggiore – si bemolle maggiore) si amplia nei movimenti esterni con modulazioni che creano l’impressione di una vasta spaziosità armonica, con una libertà di scrittura magistrale e sicuro controllo dello stile. Ma l’elemento di maggior fascino è dato dalla strumentazione, che privilegia i colori tenui e scuri degli archi gravi, spesso affidando a questi anche le proposte tematiche, e crea associazioni timbriche di grande suggestione, assai originali nel trattamento dei registri e delle loro combinazioni. A ciò va aggiunto, come carattere distintivo di questa partitura, una particolare felicità nell’invenzione dei temi, e prima ancora dei motivi su cui essi sono costruiti. Il pensiero corre immediatamente a Schubert per il lirismo di certe sagomature melodiche, intrise di nostalgia e di soave abbandono al canto, ma nello stesso tempo ripiegate su se stesse a definire un tono ora malinconico ora fieramente affermativo. La concentrazione di questo affiato lirico si ha nel tema del secondo movimento, proposto dalla prima viola con progressiva espansione degli intervalli e ribadito dal primo violino con chiara intensificazione espressiva: le variazioni che seguono segnano i primi, decisi passi verso quella tecnica della elaborazione dei motivi, con soluzioni contrappuntistiche di forte densità polifonica e spostamenti ritmici incisivi, su cui Brahms cementerà il suo stile della “”variazione integrale””, estesa a tutti i parametri della composizione. Ma la bellezza assoluta di questo tema e del movimento che da esso prende spunto cela forse anche altre intenzioni, se Brahms si sentì spinto a rielaborarlo per pianoforte e a dedicarlo a Clara Schumann in occasione del suo 41° compleanno, il 13 settembre 1860: un dono che l’autore stesso vagheggiò suonando il pezzo spesso e volentieri per sé, ma che non volle mai pubblicare. Ciò non contrasta affatto col carattere di fondo, limpido e luminoso, del primo Sestetto, che sembra nascere da una ferma serenità interiore e volerla comunicare al mondo con gioia, come fosse l’attestazione di una raggiunta maturità. Ed era invece appena l’entusiasmante scoperta di sé di un quasi esordiente.
Sestetto d’archi dei Filarmonici di Berlino
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Gestione autonoma dei concerti – Stagione di musica da camera 1993-94