Johann Sebastian Bach – Oratorio di Natale (Weihnachtsoratorium BWV 248), per soli, coro e orchestra. Esecuzione in lingua originale.

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Professione di fede e spirito popolare: l’ Oratorio di Natale di Bach

 

Composto a Lipsia, dove Bach era Cantor da ormai più di dieci anni, per la liturgia natalizia del 1734-1735, l’Oratorio di Natale (Weihnachts-Oratorium, BWV 248) si presenta come un ciclo di sei cantate, una per ciascuna delle sei festività comprese tra il giorno di Natale e l’Epifania. Per la realizzazione musicale Bach fece ampio ricorso alla tecnica della parodia, consistente nel riadattamento, con nuovo testo e modifiche acconce, di brani tratti da composizioni precedenti, in questo caso cantate di argomento sia sacro sia profano. Nelle prime quattro parti dell’opera furono utilizzate pagine di due “”drammi per musica”” encomiastici, cioè Lasst uns sorgen, lasst uns wachen BWV 213 (la cosiddetta Hercules-Kantate), scritta per il compleanno del principe ereditario Friedrich Christian di Sassonia (5 settembre 1733), e Tönet, ihr Pauken! Erschallet, Trompeten! BWV 214, eseguito per il compleanno dell’arciduchessa Maria Josepha, principessa elettorale di Sassonia e regina di Polonia, l’8 dicembre 1733. Il trasferimento del materiale dalle due auliche cantate profane al nuovo contesto liturgico non deve stupire: la distinzione tra sacro e profano non riguardava la sostanza stilistica e l’atteggiamento fondamentale della musica, ma semmai la sua destinazione; senza contare che il carattere solenne e festivo di queste composizioni si accordava magnificamente, su testo appositamente riconsiderato, con l’occasione natalizia per eccellenza. Anche le parti quinta e sesta furono ricalcate su modelli preesistenti, meno dichiaratamente riconoscibili o addirittura andati perduti. Riassumendo, sono parodie i cori introduttivi delle parti I, III e IV, otto delle nove arie solistiche, con l’unica eccezione costituita da quella pei contralto con violino solo Schliesse, mein Herze, dies selige Wunder della parte III (n. 31), e le tre a più voci: il duetto di soprano e basso Herr, dein Mitleid, dein Erbarmen, (III, n. 29), l’aria per soprano con altro soprano in eco e oboe concertante Flösst, mein Heiland, flösst dein Namen (IV, n. 39) e il terzetto per soprano, contralto e tenore Ach, wann wird dieZeiterscheinen (V, n. 51). Si ritengono invece originali, dei 64 numeri complessivi, la Sinfonia introduttiva della seconda parte, la citata aria n. 31, i corali, i recitativi accompagnati su testi di libera invenzione (in tutto undici, di autore ignoto, probabilmente Picander) e naturalmente tutti i passi in recitativo secco dell’Evangelista, al quale, come accade nelle Passioni, è affidata la funzione del narratore, o historicus. Una stessa melodia infine, ritorna nel primo (I, n. 5) e nell’ultimo corale (VI, n. 64): essa è identica a quella del celebre O Haupt voll Blut und Wunden [O capo pieno di sangue e di ferite] della Passione secondo Matteo (BWV 244, 1729), a configurare non soltanto una disposizione formale ciclica ma anche il senso di un destino divino E umano che si compie tra la nascita e la morte di Gesù Salvatore.

Benché non fosse concepito per una esecuzione tutta di seguito (la prima a Lipsia fu distribuita nelle feste indicate alternativamente tra le due chiese di S. Nicola e di S. Tommaso durante il servizio liturgico solenne del mattino e del pomeriggio), l’Oratorio di Natale è una composizione tanto vasta e grandiosa quanto concettualmente omogenea, come risulta non soltanto dalla regolare successione della narrazione evangelica (che nelle prime quattro parti utilizza la lectio di Luca 2, 1-21, mentre nelle due ultime sezioni ricorre a Matteo 2, 1-12), ma anche dal taglio formale, dalla ricorrenza di determinati elementi figurativi, dalle relazioni tonali e dalla strumentazione. Le differenze sono date semmai dall’adeguamento della musica al carattere delle singole festività: così, se la prima (natività di Cristo), la terza (arrivo dei pastori a Betlemme) e la sesta cantata (adorazione dei Magi), che vengono eseguite in questo concerto, hanno in comune tonalità (re maggiore, tonalità di base dell’opera) e strumentazione (sontuosa e brillante nel suo tono festivo, con tre trombe e timpani in aggiunta a flauti, oboi, archi e continuo), le altre si differenziano in rapporto all’ambientazione e al testo.

La seconda parte, in sol maggiore, ha il carattere più intimo di una cantata pastorale (l’annuncio ai pastori: ed ecco allora predominare i legni dolci, flauti, oboi d’amore e da caccia) e si rispecchia nella quinta in la maggiore (visita dei re Magi a Gerusalemme), di spirito e tono corrispondenti ma virati verso contrasti più vivaci. Con i suoi soli sette numeri la quarta “”giornata”” (circoncisione di Gesù o festività di Capodanno) è infine la più breve e concentrata, ricca però di soluzioni originali, tra articolazioni spezzate e simmetrie centrate sulla stupenda aria in eco con oboe solista concertante (n. 39), preceduta e seguita da due recitativi inframmezzati da sezioni di corale: la tonalità qui è fa maggiore e la strumentazione ancora più rarefatta (corni da caccia e oboi con archi e continuo).

Dottrina e immediatezza espressiva sono i due poli attraverso i quali si dispone l’arco dell’opera. I cui elementi si sviluppano in modo lineare e continuativo sulla traccia del racconto evangelico, ad esso alternando l’accentuazione spesso drammatica dei recitativi accompagnati, in genere collegati alle arie ma capaci in qualche caso di conglobare nel proprio tessuto una o più strofe di corale o di trasformarsi in ariosi, l’effusione patetica delle arie, tutte rigorosamente con da capo quando non sfocianti liricamente in duetti e terzetti, la meditazione assorta dei fedeli nella preghiera collettiva dei corali. Il modello delle Passioni si palesa nell’introduzione in prima persona di personaggi come

l’Angelo, i Magi ed Erode, e nell’intervento della turba, ossia del popolo dei pastori che prende parte all’azione (e qui la scansione si fa eminentemente sillabica). La compresenza di stili diversi diviene varietà ma non eterogeneità: e se non mancano passi marcatamente descrittivi e allusivamente simbolici, episodi affettuosi e suadenti, le parti strumentali di più vasto impianto, come le introduzioni e i fugati, e i cori slanciati elevano il discorso musicale sul piano di una superba dimostrazione di magistero contrappuntistico e di opulenza sonora.

La rievocazione della nascita di Gesù Cristo nei suoi diversi momenti, fastosi e trionfali, diviene così celebrazione della fede nel senso più pieno del termine, senza offuscare quello spirito di freschezza popolare, talvolta anche ingenua, il quale, fondato sulle immagini della tradizione, ne è tratto rappresentativo altrettanto costitutivo.


Andrea Giorgi / Orchestra e Coro  del Teatro dell’Opera di Roma
Teatro dell’Opera di Roma

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