Il musicologo si interroga

I

Si è svolto ad Empoli un convegno in ricordo di Massimo Mila

 

 

Empoli – Il convegno che il Centro studi musicali «Ferruccio Busoni» ha dedicato alla figura e all’opera di Massimo Mila era anche l’occasione per fare il punto sulla situazione della storiografia e della critica musicale dal secondo dopoguerra a oggi: periodo di cui egli fu uno degli osservatori più curiosi e attenti. A renderlo tale era soprattutto l’attività di critico militante, svolta prima sull’«Unità», poi sul settimanale «L’Espresso» e, infine, per oltre un ventennio, sulla «Stampa»: senza che questi passaggi influenzassero pregiudizialmente il suo atteggiamento nei confronti della critica. L’unica «ideologia» che per Mila contava era quella dell’estetica crociana: ad applicar la quale nel campo della musica contribuì con strenua coerenza, e con ostinazione. Fu, questa, la sua forza e il suo limite.

Come storico della musica, Mila deve la sua notorietà anzitutto alla Breve storia della musica che, pubblicata per la prima volta nel 1946, fu poi più volte ristampata da Einaudì e conobbe una grande diffusione. E molto se ne è discusso anche a Empoli: per rilevarne la natura di lavoro datato, espressione di un momento particolare della cultura musicale italiana e della stessa esperienza di Mila. Il suo volume non è un manuale di storia della musica, ma un saggio storico destinato a lettori colti e digiuni di musica, che fotografa la situazione di quegli anni e si distingue soprattutto per l’illuminante ricognizione sui fatti della musica del Novecento, e di quella italiana in special modo. Non nella astrazione dei giudizi critici, ma nella somma di valori culturali che Mila cala nella pagina superando i suoi assunti dichiarati, ossia ancora una volta nella capacità di essere un testimone del proprio tempo, sono da ricercare le qualità del suo lavoro: in termini di apertura, più che di definizione oggettiva di fenomeni o tendenze. Per usare le parole dell’intervento di Luciano Belaci, in Mila le domande che poneva erano più importanti anche delle risposte che dava.

Parlare di Mila a due anni dalla sua scomparsa voleva significare dunque anche riflettere sulle metodologie e sugli sviluppi degli studi musicali nei due versanti, musicologico e critico.

Patrocinato dalla Società italiana di musicologia, il convegno alternava a comunicazioni sulla figura di Mila relazioni più ampie attinenti a temi e autori che Mila stesso aveva trattato con maggiore o minore continuità: da Mozart a Rossini a Verdi, da Stravinskij al mosaico della musica moderna tra Janàcek, Bartók, Busoni e le avanguardie contemporanee. La massiccia presenza degli allievi di Mila all’Università di Torino, da Enrico Fubini a Giorgio Pestelli, da Gianfranco Vinay a Franco Pulcini, forniva un nesso tra la scuola di lui e le traiettorie anche molto lontane, nel modo stesso di concepire l’attività storica e critica, che ne sono derivate; quella di studiosi di tutt’altra estrazione, come Francesco Degrada, Giovanni Morelli o Ugo Duse, proponeva punti di vista costituzionalmente diversi, del tutto estranei alle posizioni idealiste di Mila.

Non si può dire che ne sia risultata un’idea chiara di ciò che la musicologia oggi persegue: semmai l’impressione è che la parzialità dei metodi impiegati, tra le mode imperanti dell’analisi strutturale e della ricezione, vada sempre più radicalizzando le differenze e le chiusure, frapponendo barriere che sovente finiscono per individuare strettoie e vicoli ciechi, i cui pericoli sono sotto gli occhi di tutti, salvo di coloro che li frequentano con la certezza dell’assoluto.

Anche Mila credeva fermamente, per esempio, nell’espressione inconsapevole e involontaria dell’opera d’arte, cardine della sua estetica spiritualistica, e nella discriminazione del bello e del brutto; ma ciò rimaneva per così dire una sua convinzione personale e quasi privata, legata alla sua formazione e alle sue prime esperienze, verso le quali mantenne sempre una incoercibile fedeltà. Quando però affrontava un’opera o un compositore determinato, il suo lavoro e le sue conclusioni si basavano su un’impressione autentica, su un’autentica volontà di capire e di spiegare, di confrontarsi con qualcosa di concreto: che poi gli piacesse o meno, erano fatti suoi. Forse in lui c’era uno scetticismo di fondo che nasceva dalla impossibilità di giudicare oltre il gusto individua-le. Ma la curiosità, lo slancio e la capacità di interrogare, e accogliere, stimoli di provenienza e qualità e livello diversissimi, quelle rimanevano le sue virtù.

E bastavano le parole insieme semplici e ispirate di Norberto Bobbio, che gli è stato amico e compagno di strada, per dire di Mila tutta la verità: in colui che una volta si definì, con l’ironia che lo nutriva fin nelle midolla, un «utile idiota», c’era una coerenza morale sovrana, una intransigenza dura e vera, di tempra antica. Ciò che per lui contava anche più che essere soltanto uno storico della musica o un critico attendibile.

 

 

da “”Il Giornale””

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