Il Mahler «alternativo» di Sinopoli

I

Due concerti al Maggio Fiorentino

Firenze – Ogni concerto di Giuseppe Sinopoli somiglia a un saggio di interpretazione critica nel quale si dia per scontata la conoscenza dei testi. Di questi, Sinopoli ci dà la sua versione, dopo averli scomposti, analizzati e ricostruiti secondo le sue convinzioni. Tutto ciò, Sinopoli lo fa con la massima serietà, anzi con gravità professorale: si sente che crede fermamente nelle sue idee e che non sarebbe disposto a recedere di un millimetro dalle sue posizioni, anche quando sono profondamente discutibili. Chi va a un concerto di Sinopoli sa dunque che ascolterà soprattutto le proposte dell’interprete.

Sinopoli non si limita infatti a interpretare, vuole dimostrare qualcosa. E far tornare i conti. Spesso quello che vuole dimostrare è semplice: che le cose non stanno come avevamo pensato finora. Prendiamo per esempio la Settima Sinfonia di Mahler, presentata al Maggio Fiorentino nel primo programma della tournée con la Philharmonia di Londra (complesso sempre di grande pregio, che ha assorbito molti dei caratteri del suo direttore musicale, come per esempio la chiarezza e la durezza di suono) . Di Mahler abbiamo fatto un’indigestione in questi ultimi anni e forse oggi, retrospettivamente, possiamo anche dire che non tutto sia stato sempre un bene. Ma l’immagine di Mahler, per quanto oscillante tra sfumature e gradazioni, non è indefinita, è per così dire storicamente fissata. Sinopoli la cancella e ne ricostruisce un’altra esattamente contraria: un Mahler ampolloso e decadente, gonfiato nel suono e spinto ai limiti del caos linguistico e formale, più viscerale e meno «profetico» del solito. Sia ben chiaro che lo fa con lucidità e con notevole ostinazione. Rivelando anche lati inediti e dunque utili, magari rivelatori. Ma per principio, si direbbe quasi per partito preso.

Nel secondo programma Sinopoli affrontava due capolavori del romanticismo, la Renana di Schumann e la Romantica di Bruckner. E anche qui partiva all’assalto dell’idea tradizionale di romanticismo per sovrapporre la sua visione, più ideologica che poetica. Non ci era ancora capitato di sentire una Renana così asciutta e scabra, così poco festosa e solenne, così insensibile ai richiami della natura, degli elementi descrittivi, delle emozioni immediate. A Sinopoli interessa la forma, l’idea compositiva in sé, scarnificata e radiografata. Questa tendenza è peraltro costante nel suo modo di dirigere, che predilige i tempi lenti nei quali sia possibile analizzare nei dettagli un dato aspetto musicale. Con Sinopoli si ha l’idea che la musica non scorra, ma si avvolga continuamente su se stessa.

Nella Quarta Sinfonia di Bruckner questo atteggiamento portava a risultati assai interessanti. Il denso organismo bruckneriano che procede per blocchi e per contrasti veniva osservato da Sinopoli al microscopio e, insieme, alla lente d’ingrandimento. Alcuni effetti, come l’estrema divaricazione fra pianissimi – al limite dell’udibile – e fortissimi – oltre il fragoroso -, intendevano portare all’eccesso certi procedimenti linguistici e stilistici. Tenderli fino allo spasimo, per sottolinearli e quasi isolarli dal resto, anche a costo di renderli innaturali e perfino sgradevoli. Ma con Sinopoli ci si rende conto che tutto è appunto calcolato e voluto. E quindi la questione è solo di gusti: sui quali, come è noto, non val disputare. Il pubblico, che gremiva entrambe le sere il Teatro Verdi, mostrava di accorgersene, ma anche di gradire. E alla fine il successo è stato grande.


da “”Il Giornale””

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