Il mago di scena

I

La partitura del Doktor Faust, ultima opera incompiuta di Ferruccio Busoni, si interrompe in modo definitivo alla battuta 452 dell’ultimo quadro, in un punto di alta tensione drammatica: Faust, disilluso e nuovamente ingannato da Mefistofele, si avvicina al crocifisso per pregare, ma non riesce a trovare le parole. Tutto quel che segue fino alla conclusione, con l’atto mistico che rinnova la vita esausta di Faust e lascia in eredità alle generazioni future un sublime retaggio di ideali, Busoni lo precisò minuziosamente nel libretto, pubblicato già nel 1918, ma non arrivò a definirlo completamente nella musica. La morte, che lo colse a Berlino il 27 luglio 1924, sanzionò lo stato di incompiutezza di un’opera che Busoni considerava la somma di tutta la sua vita di creatore e il prodotto più perfetto uscito dalla sua fantasia.

L’edizione del Doktor Faust che va in scena al Teatro Comunale di Bologna presenta in prima mondiale un nuovo tentativo di ricostruzione delle parti mancanti basandosi sugli abbozzi originali lasciati da Busoni. Ne è autore il musicologo Antony Beaumont, che ha utilizzato due fogli di schizzi venuti alla luce molto tempo dopo che Philipp Jarnach, allievo e amico di Busoni, aveva a suo modo completato la partitura per consentire la rappresentazione immediata dell’opera (Dresda, 21 maggio 1925). In che cosa consistono le differenze fra le due versioni? Principalmente, proprio nel fatto che Jarnach non potè tener conto delle indicazioni di Busoni e fece un Finale di propria invenzione, riutilizzando in gran parte il materiale già sviluppato nell’opera: ciò dà ad esso un carattere di ricapitolazione e nello stesso tempo di grandiosa trasfigurazione, ricalcato evidentemente sul modello del Finale del Crepuscolo degli dei di Wagner fin nella scelta della tonalità «simbolica» di mi bemolle minore.

E’ fuor di dubbio invece che la conclusione doveva coincidere per Busoni con la rappresentazione di un «nuovo inizio», tale da chiudere in un cerchio magico e altamente simbolico l’arco sia drammatico sia musicale. La chiave di questa interpretazione sta proprio in un passo del libretto che Jarnach curiosamente omette e nel quale Faust si rivolge direttamente a Dio e al Diavolo per proclamare la superba liberazione dell’uomo da entrambi e l’inizio di un nuovo ordine del mondo fondato sulla saggezza e sulla conoscenza.

Ma al di là dei contenuti poetici e filosofici, gli ultimi abbozzi lasciati da Busoni chiariscono ulteriormente proprio sul piano drammatico e musicale il significato e il valore del Finale. Essi si riconnettono anzitutto alla scena della apparizione di Elena nel quadro precedente della taverna di Wittenberg. II tema di Elena, l’ideale della bellezza irraggiungibile che ancora attira Faust verso il suo passato, doveva riapparire nel momento in cui Faust, avvicinandosi al crocifisso per pregare, scopre l’estremo inganno scorgendo nella figura di Cristo quella di Elena.

Nel piano preliminare vergato il 1° aprile 1924 e che costituisce il primo dei due fogli di schizzi ritrovati, Busoni annota fra l’altro: «Elena – elemento nuovo». E tutta la disposizione del Finale, partendo da questa citazione, è segnata nei dettagli secondo una tecnica compositiva tipicissima del Doktor Faust: quella che prevede l’inserimento nella partitura di pezzi autonomi precedentemente scritti e concepiti come «studi preparatori» all’opera stessa. Il Finale ha così il suo materiale nuovo, ma in un certo senso già prefigurato e collaudato.

Sarebbe certo esagerato affermare che gli spettatori potranno ascoltare per la prima volta il vero Faustdi Busoni. E’ indubbio però che il nuovo completamento è compositivamente e stilisticamente più  vicino alle reali intenzioni del musicista e rende giustizia el significato globale, ciclico e infinito, del simbolismo stratificato che vi appare. L’autore della nuova versione non ha fatto altro che realizzare ciò che Busoni aveva lasciato scritto: è una proposta, la sua, che consente di riconsiderare sotto nuova luce uno dei capolavori del teatro musicale novecentesco, pur continuando a sembrarci, la sua incompiutezza, tragica ed emblematica. Ma questo è un altro discorso.

da “”Il Resto del Carlino””

Articoli