Igor Stravinsky
Concerto per due pianoforti soli
Con moto
Notturno
Quattro Variazioni
Preludio e Fuga
La composizione del Concerto per due pianoforti soli fu suggerita a Stravinsky dal desiderio di poter disporre di un grande pezzo da concerto da eseguire insieme con suo figlio Sviatoslav Soulima in luoghi che non avevano un’orchestra stabile. Soulima, allievo di Nadia Boulanger, si era distinto come pianista suonando la parte solista del Capriccio e del Concerto per pianoforte a Barcellona e a Parigi nel 1933-34: per favorirne ulteriormente la carriera, Stravinsky pensò così di aggiungere un pezzo di grandi proporzioni e di sicuro effetto che avrebbe avuto oltretutto il duplice pregio di una diffusione più facile e di uno stretto controllo dei progressi del figlio sotto l’ala protettrice del padre.
Iniziato a Voreppe nel 1931, il Concerto per due pianoforti fu ultimato a Parigi soltanto nel novembre 1935, quando all’autore divennero chiari e intenzioni e scopi; nei Dialogues troviamo una pagina assai interessante al riguardo: «Per tutta la vita ho saggiato la mia musica mentre la componevo, fosse essa orchestrale o di altro genere, a quattro mani su una tastiera. In questo modo sono in grado di provarla, cosa che non posso fare quando un altro esecutore è seduto ad un altro pianoforte. Quando ripresi il Concerto, dopo aver terminato il Duo Concertante e Perséphone, chiesi alla Casa Pleyel di costruire per me un pianoforte doppio, a forma di cubo con due triangoli strettamente incastrati. Completai allora il Concerto nel mio studio Pleyel saggiandone con l’orecchio il risultato passo per passo con mio figlio Soulima all’altra tastiera». La prima esecuzione pubblica ebbe luogo alla Salle Gaveau il 21 novembre 1935 su invito dell’Université des Annales di Parigi: prima del concerto, Stravinsky lesse una breve introduzione nella quale, oltre a fornire indicazioni per l’ascolto, riassunse le tappe della genesi dell’opera nel contesto della sua produzione e in quello del genere strumentale del Concerto pianistico.
Il Concerto per due pianoforti soli è lavoro di robusta tessitura sinfonica, che effettivamente avrebbe potuto essere sviluppato in dimensioni orchestrali; per la sua monumentale concezione architettonica e per la varietà degli effetti sonori esso si colloca a metà strada fra un Concerto e una Sonata pianistica, rivelando però una cura attentissima ad accentuare e qualificare il peso specifico della definitiva veste strumentale. In altri termini, Stravinsky «trascrive» le sue idee musicali per i mezzi che ha scelto a realizzarle, ponendo i due solisti sullo stesso piano in un trattamento concertante di straordinaria densità e unità espressiva. Giustamente Casella ha notato che siamo di fronte a una musica «prevalentemente dura e massiccia, nella quale i due pianoforti non ‘conversano’ come nella celebre Sonata di Mozart, ma lavorano sempre strettamente avvinghiati come due lottatori».
Questo carattere aspro e grandioso si annuncia fin dal primo movimento, «Con moto», che ha la forma di un Allegro di Sonata. Due temi ben diversificati danno vita a uno sviluppo che li presenta ora giustapposti uno all’altro ora in aperto, drammatico contrasto; e il fatto che il materiale tematico sia interscambiabile fra i due pianoforti sottolinea l’irruenza della lotta, dove i contendenti assumono di volta in volta identità diverse.
Il secondo movimento, intotolato «Notturno», è una pagina di pacata e un po’ enigmatica distensione lirica, che fa pensare alle Nachtmusiken e alle Serenate del Settecento, anche se Stravinsky lo definiva, più che una «musica della notte», una «musica del dopo cena, come un digestivo per i movimenti più estesi». Il trattamento dinamico e brillante dei due pianoforti cede qui il passo a una speciale delicatezza timbrica, evidente anche nella suggestiva ricchezza delle ornamentazioni.
Il terzo e quarto movimento formano un tutto unico, reso evidente dal fatto che il tema delle «Variazioni», anziché essere enunciato in modo esplicito, traspare solo gradatamente e si afferma alla fine come soggetto della Fuga. Questa tecnica costruttiva, che Stravinsky sfrutta con acume geniale rivelando i nessi interni dei collegamenti, ha all’origine una ragione più semplice: secondo il progetto iniziale, il «Preludio e Fuga» doveva costituire il terzo movimento ed esser seguito dalle «Variazioni»; dopo che il Concerto fu completato, Stravinsky decise che il «Preludio e Fuga» avrebbe funzionato meglio come Finale e invertì l’ordine. Il tema della Fuga è configurato in modo tale da rendere possibile, dopo la prima parte, una seconda parte basata sulla sua inversione: l’unità strutturale e tonale della Fuga viene così assicurata da questo artificio e nello stesso tempo resa più tesa e dinamica. Il modello a cui Stravinsky si rifà è quello della Sonata op. 110 di Beethoven: e proprio Beethoven era stato uno degli autori che Stravinsky aveva attentamente studiato prima di scrivere gli ultimi due movimenti del Concerto. Anche questo artificio tecnico viene però piegato dalla volontà di scrivere anzitutto una musica che colpisca in modo diretto ed esprima insieme la gioia di creare e di suonare, facendo quasi l’ascoltatore fisicamente partecipe dell’uno e dell’altro atto. In ciò, più ancora che nella ricchezza compositiva e linguistica, che nell’equilibrio di «dura volontà» e «profonda dolcezza» (Casella) dei suoi caratteri espressivi, sta la felice singolarità del Concerto per due pianoforti soli, degno anche per Stravinsky di esser collocato al primo posto tra i suoi pezzi puramente strumentali: di essi «il favorito».
Gino Gorini, Eugenio Bagnoli
48° Maggio Musicale Fiorentino