Igor Stravinskij – Sinfonia in tre movimenti

I

Punti, linee, tempi, spazi

La Sinfonia in tre movimenti fu composta tra il 1942 e il 1945 ed eseguita per la prima volta a New York dalla New York Philharmonic Orchestra, cui è dedicata, sotto la direzione dell’autore. Come per altre composizioni del periodo americano (Stravinskij si era trasferito dalla Francia negli Stati Uniti nel 1939 e si era naturalizzato cittadino americano nel 1945) anche per questo lavoro ci sono rimaste numerose note esplicative dell’autore. Nel programma di sala per la prima esecuzione Stravinskij afferma che sebbene questa Sinfonia sia musica assoluta e non debba essere considerata espressione di un “”programma”” pure in essa si trovano tracce di impressioni ed esperienze segnate da “”questo nostro difficile tempo di avvenimenti crudi e mutevoli, di disperazione e speranza, di continui tormenti, di tensione, e alla fine di sollievo””. Nei Dialogues il compositore è ancora più esplicito e spiega che la partitura – soprattutto il primo movimento e l’ultimo movimento – fu scritta sotto il segno delle impressioni suscitate in lui dai filmati sulla guerra. Il primo movimento fu ispirato da un documentario “”sulla tattica della terra bruciata in Cina, nella quale si mostrava il popolo cinese che raspava e scavava il terreno nei campi””. Sempre dai Dialogues si apprende che l’inizio del terzo movimento in parte fu “”una reazione musicale ai documentari e ai cinegiornali sui soldati marcianti al passo dell’oca””; così come l’ultima parte del movimento nasceva dal “”sorgere della forza degli Alleati”” dopo aver abbattuto la macchina da guerra tedesca. A tutto ciò va aggiunto che il secondo movimento derivò da un progetto mai realizzato di musica di accompagnamento per la scena dell’apparizione della Vergine nel film di Franz Werfel The Song of Bernadette.

Questi riferimenti, posto che se ne accetti l’intenzione evidentemente calcolata sul momento, non vanno presi alla lettera. Piuttosto si tratta di suggestioni esterne che possono avere accompagnato la nascita della Sinfonia, ma che non lasciano tracce concrete nella realizzazione musicale. Non almeno in un senso programmatico e descrittivo. D’altra parte la rielaborazione di progetti precedenti (non solo la musica da film dell’Andante centrale, ma anche quella di un Concerto per pianoforte e orchestra nel primo movimento) dà una conformazione speciale al lavoro, che Stravinskij avrebbe preferito intitolare “”Tre movimenti sinfonici””. L’organico stesso, nel quale hanno un ruolo di primo piano il pianoforte e l’arpa, si richiama al genere concertante più che a quello puramente sinfonico: e ciò spiega il motivo per il quale la partitura è costruita nel suo splendore timbrico più sulla tensione di contrasti immediati che sullo sviluppo tematico ad ampio raggio proprio della forma sinfonica.

La tecnica dell’ostinato, il cui uso ricorda per lunghi tratti l’ebbrezza dionisiaca della Sagra della primavera. si basa essenzialmente sulla iterazione di punti e linee che accumulano la tensione senza aggregarsi in figure e disegni compiuti: e ogni volta al culmine della tensione il discorso si rapprende sospendendosi e arrestandosi. per tornare poi a costruirsi tumultuosamente da capo. Se i punti determinano in senso verticale una sorta di vertigine cromatica che la dinamica sottolinea con forza, le linee si dispongono orizzontalmente a creare intrecci polifonici che sfociano in passi apertamente bitonali. Il materiale così accumulato nel primo movimento si condensa. dopo la parentesi elegiaca dell’Andante, nel centro di gravità della Fuga dell’ultimo. da cui si origina la magnificenza della liberazione conclusiva. Ed è una liberazione che cristallizza l’energia motoria in un gesto di classicità vigorosa e fiorita, che impone perentoriamente un ordine. Solo da ultimo ci accorgiamo che quell`ordine era intrinseco agli elementi, legge fin dal principio.

La Quarta contende alla Settima il primato della Sinfonia più nota ed eseguita di Anton Bruckner, musicista che ha avuto in questi ultimi anni una sacrosanta rivalutazione, lino a raggiungere nelle esecuzioni il posto che gli compete tra le vette del repertorio sinfonico tutto. In Italia la sua fortuna ì» acquisizione recente. anche sul versante critico, se si pensa che il testo su cui si sono formate intere generazioni del dopoguerra, la Breve storia della musica di Massimo Mila. lo liquidava frettolosamente tra i postwagneriani in una paginetta neppur troppo meditata. Fu Giulio Coufalonieri il primo a mettere in luce acutamente non tanto la cornice esterna dell’apparato sonoro quanto l’interno travaglio della lorica. spiegandone la necessità e l’originalità. E su quella traccia molti importanti studi hanno definitivamente dissoluto il terreno, rendendolo fertile. Ciò non toglie che Bruckner continui ad essere un autore al nostro pubblico e alle nostre orchestre ostico, in genere più rispettalo che amato. Determinante fu, come sotto altri aspetti per Johann Sehastian Bach, l’abbandono dell’immagine proiettata su uno scherano religioso. secondo la quale la sua musica sarebbe un continuo atto di grazie e di lode al Signore di un’anima candida e ingenua, per l’originale ricollocato nelle sue proporzioni autenticamente compositive; dove un altro luogo comune, l’orchestra sentita come un gigantesco organo in perpetua rotazione di registri, si mostra ormai logoro e vuoto. Se a ciò si aggiunge che Bruckner non offriva appigli all’interpretazione evoluzionistica della musica, il suo corpus presentandosi come un tatto in sé compiuto e conchiuso nella storia della Sinfonia ottocentesca. si può facilmente capire come la sua ora dovesse attendere a lungo per tornare a battere universalmente, a scandire tempi e spazi a lei consoni, non effimeri e brucianti, ma anzi dilatati e distesi.

E’ un fatto solo apparentemente paradossale che la nostra epoca, cavalcando l’estetica dell’’attimo fuggente come se Faust nulla le avesse insegnato, torni ora ad apprezzare i tempi e gli spazi di Bruckner. Non si tratta qui solo di tempi cronologici, legati alla durata delle sue Sinfonie; né di spazi allargati smisuratamente da una strumentazione variegata e densa, polimorfa e complessa, e tuttavia classicamente impiantata. Si tratta invece di un tempo psicologico che ci costringe a sintonie calme e profonde, salvo elle nell’esuberanza iperdinamica degli Scherzi regolate su misure intimamente raccolte, e a concepire lo spazio come incarnazione del suono che lo riempie e lo esaurisce. Nella costruzione dei suoi edifici sonori Bruckner realizza la espansione nello spazio di una ideale dissolvenza del tempo, che per compiersi ha bisogno di reiterate attese e riprese. La stessa compagine tematica tende ad allargarsi per fuggire la dialettica dei contrasti, ed elevarla a pregnante definizione di momenti eterni.

Benché la stesura della Quarta Sinfonia in mi bemolle maggiore impegnasse Bruckner per molti anni, tanto che dal 1874 al 1887 ne dette almeno tre differenti versioni (era tipica di lui questa insoddisfazione per l’idea trascritta. ancor più dell’umanissima vulnerabilità di fronte ai consigli degli amici musicisti che non capivano il suo inondo e lo spingevano a correggersi), ci troviamo di fronte a un’opera che è un modello della sua concezione sinfonica e che rie realizza in modo esemplare i tratti costitutivi. Di più, si presenta in essa una felicità di invenzione soprattutto tematica, di vere e proprie “”trovate, che giustifica il posto particolare che questa Sinfonia occupa nel catalogo bruckneriano. Perfino l’appellativo che l’accompagna, “”Romantica””, adatto per inquadrarne il clima più che per contrassegnarne lo stile, si legittima proprio sul piano delle idee musicali primarie: valga per tutti l’esordio della Sinfonia, uno spunto miracolosamente emozionante nella sua elenrentarità, di fronte al quale viene istintivamente da esclamare: “”ecco un tema””! Raramente, forse solo nell’inizio della Settima, che lo ricalca. Bruckner espone unidea melodica altrettanto semplice e penetrante. Ma se l’osserviamo più da vicino, ci accorgiamo che la sua struttura riposa su un principio classico (la triade perfetta), mentre romantico è il colore, l’atmosfera: tremolo in pianissimo degli archi, ampia frase del corno che rafforza le fondamenta armoniche e fissa indelebilmente una melodia, mentre lo svolgimento di legni e archi introduce una tensione verso l’infinito che diviene connotato espressivo, quasi imperativo spirituale di un itinerario sempre più sospeso e ricercato. Simmetricamente, l’ultimo tempo delinea un percorso inverso, dalla nebbiosa incertezza del suono sottratto al silenzio, rarefatto e indistinto, come di chi riemerga a tastoni da una strada perduta dell’anima, fino alla affermazione sicura di una fede, non soltanto religiosa, ma anche musicale: essa abbatte l’impalcatura per esaltare in tutta la sua maestosa fuga ascensionale la prospettiva aperta all’orizzonte. Qui l’infinito diviene acquisizione di tempi e spazi posseduti nella loro concreta interezza.

In Bruckner la forma quadripartita mai abbandonata garantisce tanto l’equilibrio delle parti quanto la compattezza dell’insieme. Ai saldi contrappesi dei tempi estremi fanno riscontro nella Quarta le visioni speculari dei due centrali, un Andante funebre che è la quintessenza della melanconia romantica e uno Scherzo squillante e quasi guerresco, che invita a scuotersi e rigenerarsi. L’uno è il rovescio dell’altro, e non esisterebbe senza il suo contrario. Ma non si tratta di una contrapposizione tragica, come apparirà in Mahler, che su pagine come queste farà il suo apprendistato.

Non c’è tragedia in Bruckner, non dramma. Nei cieli della sua musica tempi e spazi esistono per essere colmati e risplendere di luce, di cui le tenebre sono il contraltare. E punti e linee disegnano figure cornplete su colori immacolati. non ancora simboli di immagini distanti, né frammenti affioranti oscuramente alla memoria per lenire l’angoscia del vuoto.

Sir Georg Stolti / London Symphony Orchestra
I Concerti del Quartetto – Teatro alla Scala

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