Da Mendelssohn a Spontini e Dvorak, ben otto concerti a Santa Cecilia
Roma – Collocati in prossimità del Natale, i concerti (ben otto in tutto, con due programmi diversi) che Wolfgang Sawallisch ha diretto all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia sono stati piú che mai doni ricevuti con letizia: tanto dal pubblico, che ormai lo tiene saldo tra i suoi beniamini, quanto dall’orchestra, che ha avuto occasione di lavorare con lui a lungo, e questa volta intensamente anche nelle prove. Il risultato era a portata di orecchi, anzi in sintonia con il cuore e con la mente: quasi si elevasse a possesso stabile quel piacere di fare musica al piú alto grado di consapevolezza tecnica e stilistica che contraddistingue l’artista Sawallisch, e che da lui si trasmette con naturalezza a chi suona e a chi ascolta. Ecco realizzata per incanto quella misura ideale di equilibrio e profondità che alla musica dovrebbe appartenere sempre.
Nel primo programma Sawallisch era a casa propria, essendo Mendelssohn uno degli autori da lui non solo prediletti ma anche perfettamente compresi: l’ouverture del Ruy Blas, il secondo Concerto per pianoforte e orchestra (solista eccellente Bruno Canino) e soprattutto la Sinfonia-Cantata detta «Lobgesang», magnifico manifesto di sacralità oratoriale applicata al mondo della sinfonia, hanno avuto esecuzioni di netta pertinenza, continuamente sciolte nel divenire sorprendente della forma e nella evidenza delle invenzioni tematiche e strumentali: indimenticabile l’appello mozartiano alla notte del custode del tempio (ottimo il tenore Blochwitz, accanto ai soprani Margiono e Dalayman), stupende le campiture corali, tese e splendenti come arcobaleni grazie alla tenuta d’insieme impressa al complesso di Santa Cecilia da Norbert Balatsch.
Meno compatto ma altrettanto eloquente il secondo programma, con l’ouverture dell’Olympia di Spontini, la grande Sinfonia in mi bemolle K. 543 di Mozart e la Sinfonia «Dal nuovo mondo» di Dvorak. Della prima Sawallisch ha accentuato il tratto classicamente sinfonico; della seconda il piglio drammatico sempre controllato; della terza il sostrato brahmsiano e le radici della tradizione viennese. Ma, al di là della assoluta affidabilità interpretativa, bisogna ascoltare come suonasse alla fine l’orchestra: a dimostrazione che un grande direttore incide eccome sulla qualità professionale e perfino umana degli individui, facendone una vera squadra, con obbiettivi precisi e precise intenzioni.
da “”Il Giornale””