Appare subito chiara, nell’impaginazione di questo concerto, una linea programmatica precisa. Essa risulta ancora più evidente se messa in relazione con l’opera prescelta per l’inaugurazione della stagione, i Gurre-Lieder di Schönberg, anch’essi diretti dal maestro Chung. Tanto i Gurre-Lieder quanto gli autori e le musiche di questo concerto appartengono a una fase della storia della musica che ha posto le basi della civiltà moderna, dove moderna sta semplicemente per nostra, ossia del Novecento e di oggi. Non si tratta beninteso di basi esclusive, ma di radici profonde cui non è estraneo il fatto di aver anticipato con lucidità molti degli sviluppi futuri, e di averli rappresentati per così dire in anteprima. Il Mahler che stiamo per ascoltare non è quello gigantesco delle Sinfonie, ma quello più intimo e delicato dei Lieder giovanili d’ispirazione popolare, quasi uno storico e un veggente. Webern e Berg, che lo incorniciano in un’ideale corona d’affetti e di affinità, non sono ancora – come non lo era del resto nei Gurre-Lieder il loro maestro Schönberg – gli alfieri di una nuova scuola di pensiero e di azione (la cosiddetta seconda scuola di Vienna), ma artisti alla ricerca di se stessi, non ancora sicuri di trovarsi, ma convinti di testimoniare con forza la necessità delle loro scelte. L’epoca è quella del passaggio tra Ottocento e Novecento, un’epoca di crisi e di trasformazioni: crisi delle forme e dei linguaggi (in tutte le arti) e crisi dell’identità (si può ancora dire così?). L’epoca della “”Finis Austriae”” e dei “”laboratori dell’apocalisse””, delle secessioni e delle rivoluzioni; concetti con i quali ci siamo trastullati con sinistro piacere fino all’esaurimento, come se si trattasse di un mero gioco intellettuale. Ecco il punto. Essi non sono concetti, ma sentimenti, stati d’animo e visioni che oggi rinascono problematicamente in noi e con cui sentiamo più che mai il bisogno di confrontarci alla fonte. Anzi: in un certo senso, sono modi di essere e di compiere delle scelte.
Che cosa significa inquadrare questo programma “”tra simbolismo e avanguardia””? Per quanto vi siano comprese correnti come il tardo romanticismo, il decadentismo, il simbolismo stesso, lo Jugendstil, l’impressionismo, l’espressionismo, esso non vuole indicare una connotazione storica, ma un valore ideale. I simboli che impregnano la musica di Mahler, di Berg, di Webern, non sono soltanto emblemi di un linguaggio e di uno stile, ma segnali di una coscienza del mondo interiore proiettata sul mondo esterno. Mezzi di conoscenza e di identificazione. E lo stesso vale per l’avanguardia. Che non significa status ideologico rapportato a un’idea di progresso, ma attitudine anzitutto morale a mettersi in prima fila per orientare la marcia, guardando costantemente avanti, ma interrogandosi anche sul passato. Un po’ come quei soldati di Mahler che, pur consapevoli della catastrofe, continuano a camminare nel fango e a guidare imperterriti i compagni nella danza verso la Terra Oscura, con la speranza di un mondo diverso, forse migliore.
Il profilo “”alto”” di queste musiche, dense e struggenti, non contrasta affatto, nel momento stesso in cui tragicamente la nega, con la speranza di un mondo migliore. Soprattutto non ne affida l’ultima coscienza al cinismo e all’indifferenza.
I Lieder da Des knaben Wunderborn di Mahler
Des knaben Wunderhorn (I1 corno magico del fanciullo), la famosa raccolta di antiche poesie tedesche curata da Ludwig Achim von Arnim e Clemens Brentano all’inizio dell’Ottocento (1805-1808), contiene circa 700 testi scelti tra molte migliaia di canti di età e provenienza diverse, attinti a fonti sia orali sia scritte, per lo più anonime. Essa costituisce una sorta di immenso repertorio di tutto ciò che si può far rientrare nella tradizione della poesia popolare: magie e incantesimi, fiabe ora innocenti ora sinistre, ninne-nanne e filastrocche infantili, canti d’amore e di tradimento, visioni di natura, cupe allegorie di situazioni spesso stravaganti e di destini quasi sempre crudeli. Dominano, nel Wunderhorn, coloro che non hanno trovato posto o consistenza nel mondo: i delusi dall’amore, i frustrati dalla vita, i ribelli e gli esiliati, gli emarginati e i diseredati, di cui i canti dei soldati, fedeli alla bandiera o disertori, sono l’incarnazione più ricorrente e tragica. Natura e vita emergono illuminate da smaglianti colori romantici, come un canto collettivo dell’anima popolare germanica, ma nascondono già nelle loro pieghe un acre profumo di morte. Mahler scoprì casualmente Des knaben Wunderhorn nel 1888, al tempo del suo soggiorno a Lipsia come maestro sostituto. Se ne innamorò e si mise subito a musicarne alcuni testi per canto e pianoforte. La decisione di trarre dalla raccolta di Arnim e Brentano una vera e propria antologia per voce e orchestra si venne evolvendo con la lettura di quelle poesie nel corso di un decennio, contemporaneamente alla creazione della Seconda e della Terza Sinfonia. Mahler intervenne anche direttamente sui testi con sensibili modifiche e compì l’orchestrazione tra il 1892 e il 1896. La raccolta, pubblicata a Vienna nel 1899-1900, si suddivide in due libri, rispettivamente di cinque e sette Lieder. Il primo libro comprende: Der Schildwache Nachtlied, Verlorne Müh, Trost im Unglück, Wer hat dies Liedlein erdacht?, Das irdische Leben; il secondo invece: Des Antonius von Padua Fiscbpredigt, Rheinlegendchen, Lied des Verfolgten in Turm, Wo die schönen Trompeten blasen, Lob des boben Vestandes, Es sungen drei Engel e Urlicht (gli ultimi due confluiranno poi rispettivamente nella Terza e nella Seconda Sinfonia). A questi si aggiunsero altri due Lieder composti nel 1899-1901, Revelge e Der Tamboursg’sell, pubblicati da soli nel 1905 e riuniti dopo la morte di Mahler con i cinque Rückert-Lieder del 1901-1902 sotto il titolo Lieder aus letzter Zeit (impropriamente, Ultimi Lieder). Tutto questo intreccio non deve trarre in inganno. Negli anni che precedettero la svolta verso le Sinfonie senza voci – avvenuta con la Quinta e poi proseguita con la Sesta e la Settima Sinfonia -, i Lieder del Wunderhorn rimasero una presenza costante nell’ispirazione di Mahler, tessendo fili ora sommersi ora espliciti e stabilendo associazioni e relazioni che ne segnarono a fondo il mondo poetico.
Per quanto sia ormai invalsa l’abitudine di eseguire i Wunderhorn-Lieder integralmente (per lo più affidati a due voci, una femminile e una maschile, a seconda del carattere dei testi), essi non costituiscono un ciclo unitario e si prestano dunque anche a un’esecuzione parziale. Ognuno di essi definisce un piccolo mondo a sé stante, una scheggia di un universo poetico e musicale in continua evoluzione, che individua un percorso aperto. Il tracciato presentato in questo concerto evidenzia due temi fondamentali di tutta l’opera: quello militare e quello mistico-fiabesco. Al primo appartengono il primo, il terzo e il quarto Lied, che configurano in una specie di compendio ossessivo il destino dei soldati secondo l’immaginativa popolare, resa dalla musica di Mahler, con le sue marce e i suoi segnali squillanti, le sue fanfare e i suoi richiami di sogno, ancor più struggente e brutale. Der Schildwache Nachtlied (Il canto notturno della sentinella) è l’appello perduto nell’incantesimo della notte di una sentinella che mentre tutti gli altri dormono deve vegliare, ed è assalita da fantasmi, ricordi visionari, allucinazioni. Der Tamboursg’sell (Il tamburino) è il congedo disperato di un tamburino condannato a morte, o forse soltanto a ripetere in eterno, come a scandire un macabro trionfo, i suoi ritmi di marcia insieme energici e ferali. Revelge (Sveglia) associa all’idea del risveglio (“alla mattina, fra le tre e le quattro, dobbiamo già marciare noi soldati”) la visione d’incubo di una orrenda carneficina, commentata con euforia grottesca e umanissima voglia cli sopravvivere.
Sull’altro versante, Rheinlegendchen (Piccola leggenda del Reno) è una variazione dai colori tenui e delicati del tema fiabesco dell’anellino d’oro gettato nel fiume come pegno d’amore e recuperato contro tutto e contro tutti per sancire il patto di fedeltà. Qui la forza immutabile della natura reintegra, con la pregnanza della simbologia romantica, spontanea e ingenua nei giochi d’acqua descritti dalla musica, l’antico idillio popolare. L’ultimo Lied, Urlicht (Luce primigenia), è una contemplazione estatica che esprime in termini di semplicità infantile (in Mahler sempre sinonimi di profonda riflessione) la speranza di un piccolo posto in Paradiso tra gli angeli. Il sincero raccoglimento impostato su un lungo corale degli ottoni è turbato dall’angoscioso serpeggiare di elementi cromatici assorbiti dal canto, con effetto di misteriosa attesa: la sospensione che si crea tra ansia e pacificazione rende questa pagina ancor più ambigua di quanto non appaia nel contesto della Seconda Sinfonia, dov’è inserita come ponte che collega il mondo terreno degli infelici del Wunderhorn a quello delle schiere celesti osannanti l’onnipotenza divina.
Myung-Whun Chung / Thomas Quasthoff
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Accademia Nazionale di Santa Cecilia – Stagione sinfonica 2000-2001