Gould, vita e variazioni

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Lo psicoanalista Michel Schneider affronta l’enigma del grande pianista

 

 

Glenn Gould sul lettino dello psicoanalista. Era inevitabile che ciò avvenisse, dopo che il suo caso era stato trattato da musicisti, critici e letterati. Cominciò Thomas Bernhard con un romanzo, Il soccombente, nel quale la sua figura intransigente e toccata dal genio della perfezione suonava a condanna di tutti gli uomini di buona volontà, sognatori senza talento, grandiosamente deboli e incompiuti. Fu poi la volta della pubblicazione dei suoi scritti e dei suoi detti memorabili, anche da noi accompagnati da un alone di leggenda e da fremiti di ammirazione: L’ala del turbine intelligente (Adelphi), No, non sono un eccentrico (Edt), per ricordare solo i più organici. Senza contare la piena inarrestabile, ancora

oggi, dei documenti delle sue registrazioni: tutto nel segno della consacrazione postuma, nell’inestricabile intreccio di motivi musicali ed esistenziali elevati a simbolo di storia di un’anima.

É lecito dire che nel suo complesso l’apparato non convince? Che Gould sia stato un grande rappresentante dell’arte pianistica applicata all’interpretazione nel senso più moderno e personale (tanto che in lui contava non la realtà della pagina ma l’insieme di idee e di possibili sviluppi che da essa scaturiva, fuori d’ogni regola o schema), può essere condiviso quasi da tutti; ma di qui a farne in assoluto una leggenda del pianismo contemporaneo, il passo è lungo. A meno di non voler sovrapporre alle qualità dell’artista come si esprimono nelle sue interpretazioni e nei suoi scritti l’immagine dell’uomo come risulta dalla sua biografia, e dare risalto a quelle con questa.

È noto che Gould abbandonò improvvisamente la carriera concertistica a solo trentadue anni, nel 1984, per rinchiudersi in un eremo super-protetto e supertecnologizzato e dedicarsi esclusivamente alle incisioni discografiche, salvo rare apparizioni radiofoniche e televisive (queste ultime sono passate due volte anche da noi l’anno scorso). Della rinuncia a suonare in pubblico, dette una spiegazione a prima vista seducente: «Durante i concerti mi sentivo umiliato, mi sembrava di essere un artista del varietà». In effetti lo era, e come tale veniva accolto dal pubblico, che si risentiva o andava in estasi per le sue esibizioni. Il cui connotato principale era l’insofferenza per la comunicazione immediata e diretta della musica agli ascoltatori: un misto di presunzione e di autentica disperazione, di snobismo e di fanatica ricerca della verità. Naturalmente Gould sapeva benissimo che ciò che avrebbe fatto in seguito, sfruttando i mezzi di comunicazione moderni, di massa, sarebbe diventato oggetto di culto: ma alle sue condizioni, sottraendosi cioè al contatto e al controllo degli altri. Da sempre l’interprete o l’esecutore che dir si voglia, è stato parte integrante, necessaria dell’espressione musicale, che senza di lui rimane silenzio o suono interiore; Gould non rifiutava affatto questo principio – altrimenti non avrebbe fatto incisioni e non si sarebbe fatto riprendere mentre suonava – ma lo trasportava in una dimensione innaturale, solo apparentemente solipsistica, servendosi di quei mezzi che la tecnica moderna gli offriva, opponendo fra sé e il mondo un diaframma che lo preservava dai rischi del contagio. È impossibile stabilire quanto in quest’angelo di fuoco di lucida e implacabile intelligenza, impermeabile alla tenerezza e al calore umano, dipendesse da un calcolo luciferino o rivelasse una adamantina purezza.

Impossibile se non forse all’indagine psicoanalitica. Ce ne offre un esempio lo studio di Michel Schneider, Glenn Gould. Piano solo che Einaudi pubblica nella collana degli Struzzi. Schneider non è solo uno psicoanalista di professione, ma anche un musicologo «militante», nonché «directeur général de la musique» al ministero della Cultura francese. E difatti il suo saggio è strutturato su un modello musicale, quello delle Variazioni Goldberg di Bach, uno dei cavalli di battaglia dell’arte interpretativa di Gould: in una serie cioè di trenta variazioni su un tema, o meglio su un’aria. Il tema o aria è la decisione del ritiro, allorché, scrive Schneider con una certa enfasi, «la sua vita si è piegata in due come si fa con una lettera dopo averla letta, si è condannata da sola alla solitudine come quando ci si ritirava nel deserto, si è abbandonata all’estasi»; le variazioni, alternando frammenti della biografia a riflessioni sull’enigma di Gould, vuoi non tanto spiegare quel mistero quanto esaltarne la portata, celebrarne i trionfi. Si dice che il medico non dovrebbe mal lasciarsi coinvolgere dal paziente. Ma per Schneider, Gould non è un malato da curare, ma una fede da difendere contro tutto e contro tutti. Evidentemente, i veri malati siamo noi.

 

Michel Schneider, “Glenn Gould. Piano solo”, trad. di Sergio Toffetti, Einaudi, pp. 181, lire 20.000



da “”Il Giornale””

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