Goffredo Petrassi
Musica di ottoni
Musica di ottoni fu commissionata a Goffredo Petrassi nel 1963 per ricordare il trentennio dell’IRI, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale fondato nel 1933. Sotto la dizione alquanto generica di «composizioni ispirate al mondo contemporaneo» essa apparve nell’inserto allegato al sesto numero della rivista romana «Civiltà delle Macchine», unitamente a Macchine (per 14 strumenti) di Gian Francesco Malipiero, anche questa scritta appositamente per la ricorrenza. Pur trattandosi di una composizione breve e d’occasione, per nulla ispirata, neppure allusivamente, alle macchine e ai loro rumori (a differenza invece della partitura di Malipiero, rivestita di sarcastiche invenzioni sul delirio del macchinismo contemporaneo), Musica di ottoni è opera degna di grande considerazione e senza dubbio interessante, se non altro come felice «prova d’autore» di quel successivo Ottetto di ottoni (1968) che nella produzione petrassiana degli anni Sessanta, e in particolare nella sua musica da camera, ha un ruolo di assoluta preminenza.
Nella scelta dell’organico, costituito da 4 corni, 4 trombe, 3 tromboni (2 tenori – 3° basso), tuba e timpani (in totale cinque caldaie), Petrassi fu con ogni probabilità orientato dal desiderio di servirsi soltanto di strumenti metallici associati a quello più ricco di possibilità e di gamme fra gli strumenti a percussione, per mantenere un legame, almeno esterno, con lo spirito della commissione; ma quel che ne sortì, distaccandosi completamente da qualsiasi intento descrittivo o da precisi riferimenti al mondo delle macchine, si indirizzò con risolutezza verso un tipo di composizione nella quale la logica tutta musicale e la stessa scrittura rispondono in pieno alle esigenze di avanzata sperimentazione caratteristiche del Petrassi di quegli anni: talché ci troviamo di fronte a una partitura dal forte impegno costruttivo, lucidissima e rigorosa, dove Petrassi sembra voler mettere a fuoco effetti timbrici e processi sonori al solo fine di approfondire alcuni determinanti aspetti del suo linguaggio e del suo proprio stile.
Uno dei tratti più rilevanti di questo pezzo è l’alternarsi di passi che procedono per «punti» sonori isolati e frammentari con sezioni nelle quali la stratificazione degli strumenti crea delle fasce sonore tenute e immobili, al cui interno uno o più strumenti della stessa famiglia si lanciano in figurazioni melodico-ritmiche rapidamente articolate. Si dovrebbe però aggiungere che questo alternarsi di momenti statici con momenti motorii, talvolta fra loro contrastanti, talaltra complementari, si cala in un processo compositivo in progressiva espansione e si presenta dunque a differenti stadi dell’organizzazione linguistica: all’inizio abbiamo solo suoni brevi, punti disarticolati, i quali a poco a poco, seguendo il dipanarsi di una serie di dodici suoni, unitariamente si dispongono in blocchi sempre più compatti fino a raggiungere il massimo ampliamento dello spazio in un flusso di più decisa, fitta coralità. Questa tecnica, se dal lato della scrittura assume quasi i tratti di un sontuoso doppio coro alla maniera veneta, da quello linguistico tende a sottolineare l’aspetto costruttivo della composizione, facendo emergere tensioni non soltanto in senso melodico ma anche, più globalmente, nella disposizione di tutto l’arco formale.
Ai timpani, oltre alla funzione di collegare i diversi episodi (e naturalmente a quella di costituire uno sfondo timbrico contrastante rispetto agli ottoni, a loro volta usati con effetti di magistrale, assoluta originalità), è affidato il compito quasi protagonistico di scandire le tappe del divenire compositivo. Ma a questo compito per così dire di guida dell’articolazione lineare se ne sovrappone un altro, complementare: quello di produrre aspri contrasti e dissidi micidiali, che ogni volta scuotono la compattezza della forma e la mettono in discussione, richiedendo nuove, più stabili e perfezionate definizioni. Ciò è ottenuto con sprazzi cadenzali estrosamente gestuali, sollecitati da un virtuosismo quasi prepotente (non a caso l’opera può essere anche vista come la storia di una battaglia fra ottoni e percussione) che tocca l’apice nel folgorante assolo con il quale, prima dell’immobile quiete dell’accordo finale, la composizione si conclude.
Roberto Gabbiani / Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Ente autonomo del Teatro Comunale di Firenze, Concerti 1982-83