Il 4 aprile Martha Argerich ha suonato al Carnegie Hall di New York in un recital da sola, ed erano molti anni – ben diciannove – che non accadeva più. Come il suo maestro Friedrich Gulda da ultimo, aveva scelto altre strade per continuare a esibirsi in pubblico: musica per due pianoforti, con partner ai quali, nei sussulti della sua vita inquieta, era rimasta legata anche dopo la fine di relazioni tempestose; musica da camera con cavalli di razza altrettanto liberi ed eccentrici, come Maisky e Kremer; e soprattutto concerti con orchestra, splendidamente ossessivi nel riproporre i suoi cavalli di battaglia, il Terzo di Prokof’ev e quello di Ravel, i due di Chopin, i primi di Beethoven e gli ultimi di Mozart. Diceva di aver paura a suonare da sola; sottintendendo forse che il rito solitario del concertismo non l’interessava di fronte alla verità della vita, che l’aveva messa a dura prova con una malattia insidiosa, di quelle che spingono a riflettere sulla vanità del mondo. Un concertista che rifiuta al culmine della sua carriera il ruolo istituzionale del divo è una contraddizione in termini, che cela un mistero. Nel caso di Martha, quello di una maturazione e di un nuovo inizio.
I due dischi che la sua casa discografica, la Emi, ha appena pubblicato, avrebbero potuto in altro contesto indurre a pensieri celebrativi, ad amari rimpianti. Anzitutto perché si tratta di registrazioni dal vivo; una, quella che contiene recital di Amsterdam degli anni 1978 e 1979, addirittura paradigmatica del modo di affrontare gli autori favoriti: il suo Bach aggressivo, il suo Scarlatti cristallino, il suo Chopin altero, il Prokof’ev fiammante, il Bartók lunare; con una gemma incastonata proprio al centro, quasi un tenero ricordo dell’infanzia, le Danzas argentinas op. 2 di Alberto Ginastera. Ma già l’altro disco, con il K503 di Mozart e il Primo di Beethoven anch’essi ripresi dal Concertgebouw, riduce la lontananza; e non soltanto per ragioni d’annata, dal 1978 saltando questa volta al 1992. Di questa Argerich brillante e scatenata che accomuna Mozart e Beethoven in una sorta di astrale modernità, non avevamo mai perso il ricordo e l’emozione del contatto diretto.
Che cos’è che rende unico il modo di suonare della Argerich? Non tanto o soltanto la tecnica scintillante e il tocco spaziale, ma essenzialmente quell’essere un misto di erotismo e spiritualità, di istinto e cerebralismo, di innocenza e malizia, ossia una miscela di opposti ridotta a ordine. Il talento le avrebbe permesso di vivere di rendita come a nessun altro pianista; invece la Argerich, pur affinando le costanti del suo stile inimitabile, si è sempre rimessa in discussione con autoironia, ponendosi per prima ostacoli e limiti che non avevano ragione di esistere se non nella sua immaginazione. L’averli sempre superati senza lasciar trasparire nulla della sofferenza che vi era implicita, con ottimismo, è un altro tratto della sua forte personalità, sensibile e tenace insieme. Nel suo modo di suonare il gioco è una componente fondamentale, ma è un gioco che chiama in causa ragioni e obiettivi alti, con l’intransigenza di chi non tollera mezze risposte e sa compiere scelte definitive.
Il 1° maggio Martha Argerich suona alla Scala il Concerto di Schumann sotto la direzione di Riccardo Muti. In quest’occasione le viene conferito il Primo Premio Internazionale Arturo Benedetti Michelangeli istituito dal Festival Pianistico di Brescia e Bergamo. Per una volta non si tratta di un riconoscimento puramente simbolico. La Argerich è stata l’unico allievo di Michelangeli che non sia stato schiacciato dalla forza demonica di quel Grande. La coincidenza degli opposti ha così vinto la sua battaglia più difficile, offrendo un esempio di continuità nella sfera del sublime.
Martha Argerich suona Bach, Chopin, Bartók, Ginastera, Prokof’ev, Scarlatti. Emi Classics, 5 56975 2 (2 cd); Mozart, Concerto per pianoforte e orchestra in do maggiore K503; pf Argerich, Netherlands Chamber Orchestra, dir Goldberg; Beethoven, Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in do maggiore op. 15, pf Argerich, Royal Concertgebouw Orchestra, dir Wallberg. Emi Classics, 5 56974 2 (1 cd)