George Benjamin – A Mind of Winter (Un animo invernale) per soprano e orchestra

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Il trentacinquenne George Benjamin ha tutte le carte in regola per essere ritenuto una delle voci più interessanti della giovane musica inglese. A tale rango lo ascrivono non solo il prestigio di Jeffrey Tate, che ne porge una composizione in apertura del suo concerto, ma anche un curriculum denso di lavori e di riconoscimenti. Benjamin vive a Londra, dove insegna composizione al Royal College of Music, ma è ripetutamente presente con la sua musica nei maggiori centri del mondo, sia in Europa (il Festival di Salisburgo gli ha commissionato un lavoro per quest’estate) sia in America, specialmente a San Francisco. E ha la fortuna, più che rara per un creatore, di poter contare su stretti contatti con importanti orchestre quali la London Philharmonic e la Hallé Orchestra, che ne ospitano regolarmente i lavori, offrendo così una base stabile al suo sviluppo.

La formazione di Benjamin è stata influenzata soprattutto dalla personalità di Olivier Messiaen, con cui ha studiato a partire dal 1976, e da Yvonne Loriod, sua insegnante di pianoforte al Conservatorio di Parigi. L’IRCAM gli ha fornito subito l’occasione di mostrare i frutti delle sue ricerche, e lo stesso ha fatto poi l’Opéra Bastille, affidandogli nel marzo del 1992 la direzione di un nuovo festival di musica contemporanea. Non occorre aggiungere che Parigi, accanto a Londra, rappresenta la vetrina ideale per un giovane compositore aperto alle esperienze internazionali. A Mind of Winter ( Un animo invernale) per soprano e orchestra (l’organico prevede fiati a due, percussione e archi in formazione ridotta) risale al 1981 e reca chiare tracce dell’apprendistato con Mcssiaen. Sappiamo d’altronde che Messiaen aveva la dote magistrale di spingere i suoi allievi non tanto all’imitazione quanto alla chiarezza concettuale e alla sensibilità timbrica: e in questo, più ancora che nella predilezione per una scrittura strumentale a fasce e terrazze estremamente differenziata nella dinamica, di delicata suggestione atmosferica, sta l’impronta del Maestro. V’è poi la presenza della voce di soprano, trattata con semplicità ed eleganza esemplari: le parole sono del poeta americano Wallace Stevens (1879-1955), un contemporaneo di Eliot e Pound, con i quali condivide in qualche misura la forte tensione intellettuale e la tecnica sperimentale, e provengono da una lirica intitolata The Snow Man (Il Pupazzo di neve).

Spiega a tal proposito Benjamin: «Due cose mi hanno immediatamente attratto in questa poesia: la ricchezza di splendide immagini invernali all’interno della sua trama compatta e la profonda ambiguità dei suoi significati. Nella mia musica il terreno ghiacciato, ricoperto di neve, è reso da un immobile accordo di la minore a quattro parti degli archi con sordina; i piatti sospesi e i glissando degli archi suddivisi descrivono le folate del vento gelido. Vari aspetti particolari del paesaggio vengono suggeriti individualmente dagli altri strumenti: un oboe solo, fiati a gruppi di due o tre, due poetici corni. Al centro della scena sta il pupazzo di neve solitario – la tromba acuta con sordina – intorno al quale il soprano tesse lente, angolose frasi, quasi contemplando: «e nulla egli stesso, non vede, / nulla che non sia là e vede il nulla che è là».

Jeffrey Tate / Luisa Castellani, Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Gestione autonoma dei concerti – Stagione sinfonica 1994-95

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