Gavazzeni illumina Poliuto

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Un successo personale del grande direttore nella prima a Ravenna dell’opera di Donizetti

Ispiratissimo, il maestro nasconde i difetti dell’orchestra e del cast


Donizetti compose il Poliuto (in tre atti, da una tragedia di Corneille ambientata agli inizi della diffusione del Cristianesimo) nel 1838 per Napoli, senza riuscire a metterlo in scena. L’anno successivo lo rielaborò per Parigi col titolo Les Martyrs (in quattro atti, su testo rifatto da Scribe, e lo fece rappresentare all’Opéra nel 1840). Mentre la versione francese non ha mai goduto di troppa fortuna, quella che a Napoli fu recuperata solo nel 1848, quando ormai la fama di Donizetti cominciava a essere oscurata da Verdi, ha avuto riprese sporadiche; tra le quali, nel nostro secolo, si ricorda soprattutto quella con la Callas e Corelli leggendari protagonisti. Nella produzione di Donizetti il Poliuto non occupa un posto di grande rilievo, ma si distingue per una concisione drammatica che già tende a superare gli stereotipi del melodramma romantico (per esempio nella riduzione delle cabalette in favore dei pezzi d’insieme come snodo dell’azione) e presenta un secondo atto nettamente al di sopra della media: snello nei movimenti e nelle forme, culminante in un concertato notevolissimo che segna la peripezia della tragedia, con la decisione del neofito Poliuto di svelare la sua fede, consacrandosi cosfìcome cristiano al martirio.

L’inserimento del Poliuto nel festival che Ravenna dedica quest’anno al tema «Intorno a Rossini» non si spiega storicamente granché; a meno di non volerlo semplicemente considerare un omaggio a uno dei direttori che hanno piú contribuito a tener viva la nostra tradizione operistica, non soltanto donizettiana, come Gianandrea Gavazzeni. Il quale, tornato sul podio in forma smagliante, ha dato effettivamente lustro alla serata al Teatro Alighieri con una bella lezione di civiltà interpretativa, confermandosi direttore ancora capace di elevare simili prodotti al di sopra della documentazione di un’epoca eroica del melodramma. Di fronte a una presenza così ispirata e lucida il resto passava in seconda linea: anche la prestazione non sempre impeccabile dell’Orchestra Sinfonica dell’Emilia Romagna «Arturo Toscanini», forse non abituata all’elasticità degli accompagnamenti nell’opera.

Quanto alla compagnia di canto, essa non aveva punte di spicco ma s’imponeva soprattutto per il modo in cui Gavazzeni sapeva ovviare a certe manchevolezze belcantistiche con una calibratura espressiva e una chiarezza d’intenzioni fermissime. Il protagonista Dennis O’Neill otteneva il massimo oggettivamente possibile dalla sapienza con cui il direttore lo assecondava, quasi guidandolo per mano; e ciò valeva anche per Anna Maria Gonzales, chiamata a sostenere una parte impervia senza dover sfigurare di fronte a temibili confronti, nonché per Roberto Frontali, voce e figura molto interessanti. Tutto confermava una preparazione musicale assai curata.

Lo spettacolo, coprodotto con il Comunale di Bologna (da cui proveniva anche il coro, assai cresciuto, di Piero Monti), era interamente firmato da Pier Luigi Pizzi: portato piú a creare un’atmosfera d’insieme che a caratterizzare individualmente la recitazione e i movimenti. Un lavoro non specialmente originale, quasi accademico, ma con un tocco di eleganza figurativa pertinente al clima dell’opera: semmai un po’ troppo insistito nell’usare toni di luce lugubri e nell’associare ambienti catacombali con estetizzanti memorie di rovine classiche. Successo caldissimo per tutti gli interpreti, e giustamente entusiastico per Gavazzeni.

 

Il’93 all’Arena comincia con Mascagni

A pochi giorni dal debutto del «Don Carlos» di Verdi, che Inaugurerà il primo luglio il settantesimo festival, l’Ente lirico Arena di Verona, ha già annunciato i suoi programmi per il 1993: i12 luglio del prossimo anno inaugurazione con «Cavalleria rusticana» di Mascagni e «I pagliacci» di Leoncavallo, un accostamento di titoli che manca dal cartellone areniano dal 1977. La seconda nuova produzione sarà «Carmen» di Bizet 113 luglio e, infine, «La traviata» di Verdi il 16 luglio.

da “”Il Giornale””

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