Fryderyk Chopin – Scherzo n. 3 op. 59

F

La complessità e l’autonomia dei Quattro Scherzi composti da Chopin nell’arco di dodici anni, tra il 1831 ed il 1842, possono essere comprese solo sottraendoli alla consueta collocazione all’interno eli una grande forma sonatistica in più movimenti, dove la loro funzione è parentetica e distensiva rispetto alla tensione concentrata eli un Allegro o di un Adagio. Con Chopin invece lo Scherzo diviene esso stesso grande forma, quasi assorbendo la leggerezza e la giocosità delle movenze che lo contraddistinguono nella carica di forti contenuti drammatici ed emotivi. Dalla dialettica di contenuti e atteggiamenti contrastanti deriva non solo l’insolita ampiezza delle dimensioni ma anche l’impianto formale, che si allontana dalla tradizionale struttura tripartita per orientarsi verso una costruzione strofica più differenziata; nella quale, dopo l’introduzione e la presentazione tematica, si alternano sezioni di sviluppo di diverso carattere (con una, più o meno centrale, lenta e sostenuta, cui spetta il compito di alleggerire e stemperare il clima acceso); per culminare, dopo la ripresa, in una Coda di rapinoso virtuosismo. L’unità di fondo di questa nuova concezione formale è ribadita dal tatto che il movimento di base è di un unico tipo (Presto nel secondo e nel quarto Scherzo; Presto con fuoco nel primo e nel terzo), il tempo è sempre 3/4 e vi sono usate solo tre figure musicali: la minima, la semiminima e la croma. Con questi elementi Chopin invento i suoi temi e le sue figurazioni, le sue immagini e i suoi collegamenti, pervadendoli di un’incessante energia motoria e centrifuga.

Tutti questi aspetti sono portati nello Scherzo n. 3 in do diesis minore op. 39 a un livello altissimo di concentrazione. Fin dall’introduzione si instaura un clima di angoscia, di inquietudine interiore, musicalmente formulato con la ripetizione di un frammento in ottave nella regione grave della tastiera e piano, sospeso sul vuoto di una enigmatica indeterminatezza ritmica e tonale, separato da drammatiche pause e reso ancor più ansioso dalla contrapposizione per tre volte nel forte di risoluti accordi tenuti. L’irruzione del primo tema in do diesis minore e in doppie ottave, con la sua martellante energia ritmica, scarica in aggressività questa attesa, ma è ben lungi dal cancellarne il ricordo; essa è piuttosto, frutto di una volontà affermativa che voglia preparare una più alta visione. E questa si presenta nella seconda sezione in re bemolle maggiore, con un motivo di corale di solenne gravità religiosa, prima anelante alla liberazione e alla luce e poi, a poco a poco, risucchiato nella frenesia del terna iniziale, che annuncia drammaticamente lo sviluppo.

Questo si basa su un percorso a ritroso sul materiale dei due temi, mirante non tanto a elaborarne i motivi quanto a rafforzarne il carattere contrastante, radicalizzandone nello stesso tempo le prospettive. Con effetto sorprendente e fortemente simbolico, propri quando sembrerebbe che l’atmosfera del primo tema si affermasse in tutta la sua aggressiva disperazione, il secondo tema fa letteralment esplodere, nella tonalità di do diesis maggiore, la melodia del Corale, in un movimento di ascesa non più contraddetto da alcunché e raggiante di luce e di calma: celebrando una vittoria dello Spirito che la Coda vorticosa chioserà con strepitosi inni di lode.


Maurizio Pollini
Ravenna Festival 1996

Articoli