L’unicum della Berceuse nasconde alquanti misteri; dalla data di composizione (probabilmente
Si potrebbe dire che il lavoro è costituito come un campo di potenziali varianti; sicché l’idea stessa di variazione, anziché riconnettersi a quella classica di una progressiva espansione degli elementi di partenza, si avvicina piuttosto, assai modernamente, a una ipotesi virtuale di formanti, in un’ottica spazio-temporale allargata, come nelle atmosfere irreali di un sogno. L’impressione di una continua divagazione tra i percorsi della memoria che si intersecano e si sovrappongono, riposa altrettanto evidentemente su una meticolosa cura architettonica, rivolta non tanto al riempimento e alla accumulazione quanto alla rarefazione e alla decantazione; al punto che risulta arduo distinguere la sostanza tematica dall’ornamentazione, il crescendo dalla dissolvenza. Alla estatica immobilità di un basso ostinato fisso come per ipnosi su tonica e dominante di re bemolle (eccettuate un paio di battute prima della fine) si oppone la melodia arabescata e vagamente improvvisata della mano destra, come in una ninna-nanna cullante per chi già soglia; e mai vorremmo addormentarci perdendo quel sogno.
Maurizio Pollini
Ravenna Festival 1996