Franz Schubert
Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore, D. 485
Allegro
Andante con moto
Menuetto (Allegro molto)
Allegro vivace
La Quinta sinfonia in si bemolle maggiore, composta fra il settembre e l’inizio d’ottobre del 1816, reca impresso il sigillo di un omaggio a un grande della musica classica viennese: Mozart. «O Mozart, immortale Mozart» – Si legge scritto nel diario di Schubert alla data 13 giugno 1816 – «quante, o quanto infinite, benevole impronte di una vita migliore, più luminosa, hai stampato nella nostra anima!». In queste parole di un diciannovenne straordinariamente precoce eppure capace di commuoversi come un bambino è già presente l’intero Schubert, nelle cui espressioni di una spontaneità disarmante nulla v’è di retorico. E ancora sentiamo come la presenza del grande collega, l’unico che veramente gli somigliasse per intimi tratti, entrasse, coi suoi mille richiami, nei pensieri che il giovane artista maturava sulla propria opera creativa.
Guardare a Mozart per imparare a guardare dentro se stesso. E dimenticare, per il momento, l’inquietante Beethoven. Già durante il suo apprendistato come ragazzo cantore nella imperiale e regia Cappella di Corte, Schubert aveva avuto modo di familiarizzarsi, nelle variopinte esercitazioni dell’orchestra degli allievi del Convitto, col florido mondo della produzione strumentale classica viennese, grande e meno grande. Dal suo imparare direttamente dall’esperienza, dal suono nelle sue multiformi combinazioni, dalla consuetudine pratica con i singoli strumenti, dal disuguale avvicendarsi di placide colline e di ardue cime: Ouvertures e Sinfonie, l’orecchio drizzato al nome di Haydn e Mozart, il cuore in tumulto di fronte a Beethoven. «La benedizione della musica vivente, della esperienza pratica», commenta Paumgartner. Quale profitto Schubert ne abbia tratto, si capisce già dalla sottile differenziazione timbrica delle Sinfonie giovanili, dalla relativa scioltezza della scrittura per archi nei primi Quartetti.
Insieme con il padre mediocre dilettante di violoncello, Schubert e i suoi fratelli lgnaz e Ferdinand facevano musica – quartetto – anche fra le mura domestiche. Quando Franz nel 1813 lasciò il Convitto per iniziare la sua breve carriera di assistente di scuola, il quartetto divenne, col concorso di amici (tutti musicisti dilettanti), una piccola orchestra d’archi, che si riuniva due volte alla settimana nella casa di Schubert in Säulengasse n. 3. Di lì, fattasi più numerosa, passò negli spazi più ampi della ricca casa del mercante Franz Frischling: una piccola ma vera orchestra al completo in grado di suonare Pleyel, Salieri, Haydn e soprattutto Mozart, davanti a un pubblico scelto. Il pubblico, ecco l’elemento che fino ad allora era mancato. La prima, ristretta cerchia degli ascoltatori di Schubert creatore. Alla fine del 1815 anche la casa di Frischling era diventata troppo piccola. Si traslocò così in quella di Otto Hatwig, violinista e attore del Burgtheater, allo Schottenhof: fu qui che, nell’autunno 1816, la Quinta sinfonia di Schubert venne eseguita per la prima ed unica volta durante la sua vita. Egli la udì, se la udì davvero, suonando tra le viole.
Composizione dal carattere intimo, raccolto – quasi un raccoglimento dopo l’ardita, temeraria impennata beethoveniana della «Tragica» in do minore (aprile 1816) – la Quinta sinfonia guarda a Mozart, si diceva, e a un modello preciso: la Sinfonia in sol minore K. 550. A prescindere dalle somiglianze della tecnica compositiva e dagli stessi espliciti riferimenti tematici – nel «Minuetto» addirittura una citazione letterale dal «Minuetto» di quella Sinfonia -, la veste strumentale ne ricalca perfettamente l’organico senza trombe e timpani e senza i clarinetti, che Mozart aveva aggiunto solo nella seconda versione: ma, dal punto di vista armonico-tonale, l’ambientazione sonora è spostata dalla tonalità minore alla relativa maggiore, si bemolle; ed è un tratto che modifica profondamente il tono di fondo del ripensamento schubertiano di Mozart.
Già l’esordio è significativo. Quattro battute dei fiati che condensano le note polari del sublime incipit mozartiano conducono senza mutamento di tempo alla figura del primo tema in si bemolle maggiore: slanciata, elegante nella fluente linea dei primi violini, essa è imitata umoristicamente dai bassi, per presentarsi nella riesposizione in forma rovesciata. La transizione ha già in sé i tratti di un energico sviluppo, che sfrutta in primo luogo l’elemento puntato; il secondo tema in fa maggiore appare perciò una conseguenza di questa elaborazione, a rapporti invertiti: esposto dapprima dagli archi, viene successivamente ripreso dai fiati e contrappuntato parodisticamente dai primi violini, fino a che l’intera compagine orchestrale si ritrova unita, come all’inizio, nelle quattro ultime battute dell’Esposizione, quasi a stabilire un nesso ciclico. Le quattro battute introduttive aprono simmetricamente la sezione dello Sviluppo ma scompaiono definitivamente nella Ripresa, assorbite nella nuova individualità delle figure tematiche: e dalla Coda scomparirà anche l’elemento puntato che ne era stato l’elemento simbolicamente caratteristico.
Gli elementi stilistici schubertiani – alcuni dei quali diverranno col tempo veri e propri tratti idiomatici – si innestano naturalmente sul tronco mozartiano e ne fioriscono rigogliosi: c’è in questa Sinfonia quella serena consapevolezza che discende dal tranquillo, gioioso operare su solide basi. Se nell’«Andante con moto» in mi bemolle maggiore Schubert si concede ampi spazi di meditazione lirica divagando alla sua inimitabile maniera, nel «Minuetto» in sol minore l’inequivocabile citazione mozartiana vale come un perentorio richiamo all’ordine; appena temperato dal tono rude e popolaresco, intriso di memorie haydniane, del Trio in maggiore (il carattere cullante di Ländler è qui timbricamente irrobustito dalla preminenza del fagotto, che canta la melodia in ottava coi violini).
Il Finale («Allegro vivace»), in forma-Sonata, raggiunge il culmine drammatico nelle svettanti imitazioni dello Sviluppo, nel quale Schubert sembra volersi mettere alla prova come un maestro dell’elaborazione tematica. L’intenzione di dare alla Sinfonia una conclusione positivamente affermativa si palesa nella stessa condensazione del processo formale e nella densità dello spessore orchestrale, ossia nel trattamento, poco differenziato, della massa strumentale a piena orchestra: e forse il più autentico Schubert finisce con la prima esposizione, tenuemente cameristica e pervasa di suggestioni liederistiche, del primo tema. Quel che segue, a quanto pare, è soltanto il gesto, levigato e puro, di un entusiasta ammiratore dello stile classico. E la concisa, innodica chiusa della Sinfonia in si bemolle maggiore del diciannovenne Schubert lo celebra dimostrativamente.
Partito dalle sottili inquietudini di Mozart, passato attraverso le non più placide acque dello stile supremo dei classici, vivificato dal terribile accostamento a Beethoven, non gli rimaneva ora che tentare, in campo sinfonico, la sua piccola, immatura e stupenda, «Jupiter» (Sinfonia in do maggiore, 1817-18). Poi sarebbe stato, tragicamente, solo: Schubert.
Riccardo Chailly / Radio-Symphonie-Orchester Berlin
47° Maggio Musicale Fiorentino