Franz Schubert – Quintetto in la maggiore “”La trota””, per pianoforte, violino, viola, violoncello e contrabbasso op. 114

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Il Quintetto “”La trota”” di Schubert

 

In un limpido ruscelletto la trota capricciosa guizzava a suo agio svelta e allegra, facendosi beffe delle minacce della lenza di un pescatore. Ma ecco che il pescatore, stanco di aspettare, intorbidò le acque chiare del ruscello e la trota, ingannata, abboccò. La storiella della trota vittima della perfidia umana è un archetipo popolare, una metafora poetica, un simbolo, al pari della violetta o della rosellina della landa celebrate da Goethe. Il poeta è solo un tramite della voce del popolo, un cantore della purezza della natura, che l’uomo profana. Anche senza essere Goethe, Christian Friedrich Daniel Schubart (1739-1791), poeta tedesco vicino agli ideali dello Sturm und Drang, seppe raccontare questa storiella con accenti di semplice immediatezza, forse sottintendendovi anche qualche allusione più impegnativa. E Schubert se ne invaghì. Sul suo testo, schierandosi decisamente tutto dalla parte della trota, compose uno dei suoi Lieder più famosi, Die Forelle (La trota). Che così grazie alla sua musica divenne anch’essa immortale: anzi, immortale due volte.

Del Lied della Trota su testo di Schubart esistono ben cinque versioni con la musica di Schubert, fra loro pressoché identiche, le più antiche delle quali si collocano tra la fine del 1816 e il luglio del 1817. In effetti più che di vere e proprie rielaborazioni si tratta di riscritture fatte verosimilmente a memoria per l’uno o l’altro dei suoi amici (la terza, datata 21 febbraio 1818, si trova in un foglio d’album per uno di questi, Josef Hüttenbrenner), a testimonianza dello straordinario favore di cui il Lied godeva nella cerchia schubertiana. E, a riprova di come Schubert avesse inconsciamente preso sul serio la vicenda della trota, si ricorda un episodio curioso, narrato da Johann Leopold Ebner: “”Quando Schubert compose il Lied Die Forelle, il giorno stesso lo portò al Convitto per provarlo ed esso venne ripetuto molte volte con gran divertimento. All’improvviso Holzapfer gridò: <<Cielo, Schubert, questo l’hai preso dal Coriolano>>. Nell’Ouverture di quell’opera infatti c’è un passaggio che ha una certa somiglianza con l’accompagnamento pianistico del Lied. Quando Schubert se ne accorse voleva distruggere il Lied, ma noi glielo impedimmo e così quel capolavoro fu salvato grazie a noi». La trota trattata come Coriolano, Schubert ispirato da Beethoven e colto in fallo! Si stenta quasi a crederlo. Non si stenta invece a comprendere l’enorme successo del Lied, che apparve prima nel supplemento della Wiener Zeitung il 9 dicembre 1820 e poi, nel gennaio 1825, pubblicato da Diabelli. Fu in vista di questa pubblicazione che Schubert acconsentì, nell’ultima versione scritta nell’ottobre 1821, ad aggiungere una introduzione pianistica di cinque misure, di fatto nient’altro che la ripresa esatta del ritornello che separa ciascuna delle strofe.

Nel 1828 il Lied era già alla terza edizione, provvisto dell’indicazione d’opera 32. Ma ancor prima della pubblicazione la sua popolarità si era estesa ben oltre la cerchia viennese. Durante il viaggio dell’estate 1819 nell’Austria Superiore in compagnia del cantante Johann Michael Vogl, interprete eletto dei suoi Lieder, Schubert soggiornò come ospite per un certo tempo a Steyr ed ebbe modo di far conoscere la sua musica alle famiglie più in vista della città. Sylvester Paumgartner, mecenate dell’arte e violoncellista dilettante, si innamorò a tal punto del Lied della trota da pregare Schubert di utilizzarlo in un’opera di musica da camera. Tornato a Vienna, Schubert, per sdebitarsi dell’ospitalità, compose in autunno un Quintetto in la maggiore in cui riprese per una serie di variazioni il tema del Lied: nacque così il Forellenquintett, il Quintetto detto “”della trota””, che fu trascritto nelle parti e inviato a Paumgartner a Steyr. Eseguito numerose volte in circoli privati, fu pubblicato solo nel 1829 da Joseph Czerny a Vienna, con il numero d’opera 114. Quanto all’organico inconsueto, che unisce al pianoforte non il classico quartetto d’archi ma violino, viola, violoncello e contrabbasso, esso si può spiegare con l’intenzione di riservare al violoncello, lo strumento suonato dal committente, una maggiore libertà melodica nella dinamica dell’opera, rimpiazzando il ruolo e la funzione del basso con lo strumento più grave, il contrabbasso appunto. Esempi di questo genere d’altronde non mancavano nella musica del tempo (basti pensare al

Quintetto op. 87 di Hummel); la soluzione adottata e la scelta della tonalità di la maggiore erano comunque in sintonia con il carattere del lavoro, pungente e umoristico nella sua solare lucentezza, specchio di uno dei periodi più spensierati vissuti fino ad allora da Schubert.

Il Quintetto “La trota” è un esempio di felice intercomunicazione fra musica strumentale e Lied, il primo, in ordine di tempo, nella produzione di Schubert. Ma a differenza di quanto avverrà nella Wanderer-Phantasie per pianoforte (1822), o nel Quartetto per archi La morte e la fanciulla (1824), per citare solo i più famosi esempi di lavori strumentali basati su spunti liederistici, il tema del Lied non viene sviluppato con precisa simbologia nel corso dell’opera, ma rimane un brillante a parte, una gemma fra le gemme, che tuttavia non incide sulla forma complessiva: il tema e le cinque variazioni sul Lied Die Forelle vengono collocate al quarto posto come movimento aggiunto in un contesto tradizionalmente quadripartito, senza che si alteri lo schema classico. Ciò realizza al massimo grado il carattere spensierato e totalmente aproblematico dell’opera, esaltandone il tono

giocoso e svagato, in più tratti ironico, espressione di un piacere galante e festoso di far musica insieme per puro divertimento. Vi si manifesta il lato più amabilmente artigianale di Schubert, disteso su una superficie levigata, appena increspata da ombreggiature nostalgiche e malinconiche. Le difficoltà tecniche, tutt’altro che modeste, sono mantenute sul piano della leggerezza e dello slancio, senza ostentare profondità: anzi, via via che la partitura si dipana crescono l’eccitazione gioiosa e la sorpresa, creando una sorta di guizzante levità che richiama da ultimo il movimento della trota nella visione di sogno di una natura amica e incontaminata.

Il primo movimento, Allegro vivace, è aperto da un ampio gesto del pianoforte, che arpeggia nella tonalità di la maggiore, raccogliendo poi la corposa proposta tematica proveniente dagli archi. La scioltezza fluente del discorso è periodicamente contraddetta da accenti marcati e da impennate baldanzose, su cui si innesta nello sviluppo un ritmo di marcia tipicamente schubertiano, che conduce verso tonalità remote e porta con sé tensioni più massicce. Queste tensioni si sciolgono nella ripresa, ma tornano poi a riproporsi nella coda con rinnovata forza, mimando quasi un atto drammatico.

Il senso di attesa provocato da questo primo movimento si estende al secondo, Andante in fa maggiore, che ne riprende anche tematicamente alcuni elementi, come l’ascesa per terze, il trillo e il ritmo puntato; l’elaborazione segue un percorso armonico inquieto e ondivago, oscillante tra maggiore e minore, simmetricamente ascendente e discendente: fa – fa diesis minore – sol nella prima parte, la bemolle maggiore – la minore e solo alla fine di nuovo fa maggiore nella seconda. La rinuncia a un secondo movimento distesamente cantabile preannuncia già la novità del movimento aggiunto con le variazioni sul Lied; ma prima di giungervi lo Scherzo vorticoso, in la maggiore, ristabilisce la solidità vigorosa ed energica dell’atmosfera di fondo, mentre il Trio in re maggiore richiama quelle estatiche contemplazioni liriche che avevano fin qui contrappuntato e impreziosito l’andamento del Quintetto.

Si arriva così al cuore dell’opera, l’Andantino, anch’esso in re maggiore, che espone il tema del Lied (originariamente in re bemolle) e lo elabora in cinque variazioni. La maestria delle combinazioni timbriche è solo un aspetto di questa elaborazione, che concede al violoncello una parte preminente nel corso delle variazioni; il tema è in realtà trasformato fin dalla sua apparizione, non solo nella veste tonale ma anche in quella strumentale e ritmica (note puntate); il pianoforte tace nell’esposizione, e quando entra nella prima variazione introduce fioriture e abbellimenti che combinano eleganza e fantasia. Dalla terza variazione il discorso si fa più concitato, quasi oscuramente drammatico, lasciando presagire una sorpresa. E la sorpresa arriva dopo la quinta variazione, quando il tema del Lied viene finalmente presentato nella sua forma originaria, la melodia cantante al violino e l’accompagnamento tale e quale al pianoforte, in tempo di un grazioso Allegretto. È come se Schubert avesse volutamente incrementato la suspense prima di far risuonare il terna tanto atteso nella sua vera identità, facendolo infine apparire come una conquista fantastica. L’atmosfera scherzosa e sorridente di questo procedimento si propaga, definitivamente chiarita dopo un ultimo trick (la sospensione di due battute sul mi enfatizzato dal fp, nel registro medio-grave di pianoforte, violoncello e viola) nel Finale Allegro giusto: il primo tema affermativamente ritmico e il secondo addirittura trionfale (collocato in re maggiore, quasi a ricordare l’a parte del Lied) configurano un’atmosfera di allegria e di buon umore suggellata dalla vivacità di una danza popolare: e a questo tripudio di ricchezza inventiva e di frizzante comunicativa sembra ora partecipare, in una felicità favolosa, anche la trota risorta.

Wolfgang Sawallisch, Solisti dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia (Carlo Maria Parazzoli, Raffaele Mallozzi, Luigi Piovano, Antonio Sciancalepore)
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Stagione di musica da camera 1999-2000

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