Nel febbraio del 1854 Franz Liszt diresse al Teatro di Corte di Weimar, di cui era Kapellmeister, un allestimento dell’opera Orfeo ed Euridice di Christoph Willibald Gluck nella versione francese di Hector Berlioz, curandone personalmente l’adattamento. Tale adattamento prevedeva l’inserimento, all’inizio e alla fine, di due brani sinfonici composti per l’occasione da Liszt stesso. Mentre il postludio non venne mai pubblicato, il preludio, poco più di dieci minuti di musica, entrò a far parte del suo repertorio dei poemi sinfonici, come quarto della serie e col semplice titolo di Orpheus. Ancor prima di darlo alle stampe nel 1856 con la dedica alla principessa Carolyne Sayn-Wittgestein, Liszt lo eseguì nuovamente in concerto a Weimar il 10 novembre 1854.
Nella prefazione alla partitura l’autore indicò il programma della composizione in modo alquanto generico, limitandosi a identificare in Orfeo il simbolo della forza civilizzatrice dell’arte, e della musica in particolare. capace di vincere gli impulsi primitivi delle passioni e di addolcirli non più nobili ideali: “”Oggi come anticamente e sempre Orfeo, vale a dire l’Arte, espande i suoi raggi melodiosi e i suoi possenti accordi come una luce dolce e irresistibile sugli elementi contrari che si combattono in una lotta sanguinosa nell’anima di ogni uomo e nel seno di ogni società. Orfeo piange Euridice, il simbolo dell’Ideale sopraffatto dal male e dal dolore. A lui è concesso di sottrarla ai mostri dell’Erebo, di strapparla dalle tenebre dell’ Averno, ma non dì serbarla in vita. Possano almeno non ritornare mai più quei tempi della barbarie, quando le passioni selvagge, come Menadi ebbre e sfrenate, facevano soccombere l’Arte sotto i loro tiri micidiali per vendicarsi in delirante follia del disprezzo con cui essa irrideva le loro rozze brame!””.
La difesa appassionata della missione trasfiguratice dell’arte contro la rozzezza, la cupidigia, la sensualità sembra presupporre, nell’artista romantico, un modello classico fatto di equilibrio e di temperanza. Un tratto apollineo interrompe il disegno della furia dionisiaca, cui Liszt non era certo estraneo. La figura di Orfeo è vista come una luminosa apparizione di incanti pieni di poesia e di musica echeggianti nel regno dell’elisio. Ai richiami iniziali dei corni si intrecciano gli arabeschi dell’arpa, le vibranti perorazioni dei violoncelli, la cantilena pastorale dell’oboe poi ripresa dal corno inglese: una frase ampia e distesa del violino solo s’innalza al cielo, si specchia nel lamento del violoncello solo ed è poi inghiottita nell’ombra dell’oscurità. Violente strappate dell’orchestra annunciano i mostri delle tenebre. Tremolando, la musica si spegne a poco a poco in pianissimo: non nell’irrisione, ma nella serena contemplazione di una tranquillità che nessuna barbarie potrà più turbare.
Giuseppe Sinopoli / Orchestra Giovanile Italiana
Teatro Comunale di Ferrara