Franz Liszt – Fantasia e fuga sul nome BACH

F

Franz Liszt – Fantasia e fuga sul nome BACH

 

Apparsa nel 1877, la Fantasia e fuga sul nome BACH raccoglie gli elementi più caratteristici del pianismo lisztiano, da quelli ornamentali-virtuosistici a quelli costruttivi ed espressivi, distribuiti in un’articolazione di vasto e inimitabile respiro. La composizione si basa sul tema ricavato dal nome BACH in notazione tedesca (ossia formato dalle note si bemolle-la-do-si), che guida l’intero discorso musicale verso esiti di inesauribile varietà, quasi a volerne estrarre tutte le possibilità sotto il profilo sia melodico che armonico con estese ramificazioni ornamentali e virtuosistiche. Si direbbe anzi che a Liszt questo tema interessi più in quanto materiale che in quanto simbolo: egli ne sfrutta cioè le diverse implicazioni facendone il fondamento dell’elaborazione compositiva. Soprattutto la componente cromatica di esso è accentuata via via che il processo musicale si dipana: all’inizio il tema BACH appare al basso con funzione di ostinato, indi si converte in elemento melodico emergente sulla fitta rete delle figure d’accompagnamento, che sempre più tendono a dare il senso di una strumentazione. La Fantasia si articola in diverse sezioni contrassegnata ognuna dal cambiamento di tempo e da figure pianistiche caratterizzanti, nelle quali la libertà dell’improvvisazione si salda nella scelta dei momenti e dei motivi determinanti. La Fuga, a sua volta basata sul tema principale, annunciato pianissimo e misterioso, riprende l’elemento cromatico come fondamento della composizione e si distingue dapprincipio per la pensosa serietà della costruzior polifonica, spesso di una monumentale severità, slanciandosi poi nella visionarietà di passi animati da un’espressione pianistica davvero trascendentale. Il travolgente addensarsi delle risorse tecniche e strumentali corrisponde all’incalzare del tempo, che si fa sempre più stringente e teso; al culmine della tensione, riappare il tema, Maestoso e in una disposizione accordale piena, come pregno di una sua trascendentale identità, rivelata e potenziata un’ultima volta prima del gesto altamente retorico di una breve chiusa d’effetto.

Michele Campanella
Sala Verdi del Conservatorio di Milano

Articoli