Invitato dall’impresario di concerti Johann Peter Salomon, Haydn visitò per la prima volta l’Inghilterra all’inizio del 1791. A Londra, dove si trattenne fino alla fine dell’anno successivo, compose sei nuove Sinfonie: la 95 e la 96 per la stagione 1791 e le 93, 94, 97 e 98 per la stagione 1792. Il successo fu tale da indurre Salomon a impegnare il compositore, nel frattempo insignito della laurea “”honoris causa”” dall’università di Oxford, per una seconda tournée di concerti. Essa avvenne tra il 1794 e il 1795: in questa occasione Haydn diede a Salomon tre nuove Sinfonie, le 99, 100 e 101. Quando l’Opera Concert subentrò a Salomon nell’organizzazione delle attività musicali pubbliche londinesi, Haydn scrisse due Sinfonie, che furono le sue ultime: la n. 102 e la n. 104. Il 15 agosto Haydn lasciò l’Inghilterra per non tornarvi mai più.
Eseguita per la prima volta il 13 aprile 1795 sotto la direzione del suo autore al King’s Theater in Haymarket e ripetuta il 4 maggio nel concerto di addio, la Sinfonia n. 104 colse un enorme successo, che consacrò definitivamente il musicista come l’erede di Händel. In realtà, questa sinfonia è una pietra miliare del nuovo stile sinfonico che, dopo la scomparsa di Mozart, si avviava verso il nuovo secolo, già prefigurando la venuta di Beethoven, che l’avrebbe ufficialmente inaugurato. Ciononostante, il titolo che l’accompagna, “”London””, e l’altro che spesso viene aggiunto, “”Salomon””, giustamente sottolineano l’importanza di una città e di un impresario nella nascita di questo capolavoro estremo.
Se si volesse racchiudere in una formula il carattere della Sinfonia in re maggiore, basterebbe dire: “”pensate in grande””. Senza dubbio Haydn fu stimolato dalle possibilità che gli venivano offerte dalle esecuzioni pubbliche a Londra e dalla stessa fama che lo circondava; ma non si spiegherebbe il risultato di quest’opera se non lo si colle-gasse al percorso interno compiuto dal suo autore nel genere sinfonico. La scelta della tonalità, la più ricorrente nel corpus delle Sinfonie di Haydn, consente di unire accenti “”regali””, solenni, a più sfumate perlustrazioni nel campo degli affetti, per toccare momenti di grande drammaticità. Lo stile galante si fonde con le nuove esigenze di un’eloquenza ampia e ricercata, intima e fortemente comunicativa, tenuta tutta nelle misure del classico. La strumentazione rispecchia questa varietà nella fondamentale unità della concezione tematica: all’intimismo dei legni (due flauti, due oboi, due clarinetti in la, due fagotti) si oppone la compattezza marziale degli ottoni (due corni in re e sol, due clarini ossia trombe in re), in una continua alternanza di luci e ombre, di slanci e ripiegamenti. Archi e timpani completano l’orchestra della “”London””.
Il primo tempo è costituito da un Adagio introduttivo in re minore e da un Allegro. Le sedici battute lente inaugurano la Sinfonia con un motivo semplicissimo e scultoreo, cui la tonalità minore conferisce un tono addirittura tragico, di incontenibile tensione e attesa. A uno squillo ascendente, dalla tonica alla dominante, risponde con perfetta simmetria uno squillo discendente, dalla tonica alla dominante inferiore. L’alta drammaticità di questa introduzione ha il valore emblematico di un’epigrafe: solo alla diciassettesima misura, con l’esposizione del primo tema, si afferma il re maggiore, come un impulso incalzante che finalmente si manifesti e giunga a poco a poco ad appropriarsi del discorso musicale. Lo sviluppo è addirittura implacabile nella sua ferrea logica formale.
L’Andante ha la forma del tema con variazioni, ed è in sol maggiore. L’invenzione melodica ha snodi piuttosto insoliti, quasi esitanti e interrogativi, ed è sorretta da un ritmo di danza altrettanto rallentato e indeciso, quasi malinconico. Nella variazione in minore lo stato d’animo tende a divenire addirittura doloroso, fino a momenti laceranti sotto il profilo armonico: qui la malinconia si trasforma in drammaticità acutissima, sconfinando decisamente nella sfera preromantica, tra tempestose asprezze e dolcissimi scioglimenti.
Il Minuetto reintroduce un clima solennemente festoso ed estroverso, con echi militari e celebrativi di luminosa plasticità. Il Trio centra-le ha un carattere convenzionalmente “”pastorale””, ma con le sue purissime effusioni liriche tocca corde affettuose e perfino ammiccanti. Di straordinario rilievo è invece l’Allegro conclusivo. Là dove ci si aspetterebbe un rondò, Haydn sceglie la forma sonata, caricandola di nuove tensioni e sviluppi vigorosi. Su un robusto pedale di tonica di violoncelli e corni che ricorda il suono della cornamusa, si dipana un tema ricavato da una ballata croata. Questo tema si intreccia con frammenti del motivo di testa del primo movimento, dando energia a una gioiosa affermazione di vitalità, insieme popolare e nobile. Questa carica vitale, seppur non priva di contrasti con la figura discendente del secondo tema, conduce la Sinfonia verso la splendente conclusione in re maggiore, lontano da ogni dramma.
Pierre Boulez / Wiener Philharmoniker
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Gestione autonoma dei concerti