Firenze: Cavalleria rusticana e La giara

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Mascagni e Cavalleria rusticana, guai a toccarli: si rischia non solo l’impopolarità, ma la crocifissione. Per aver scritto, proprio in occasione di questa edizione fiorentina, su un quotidiano, che la Cavalleria è un’opera “”orrida””, ora sono nella bufera, travolto da proteste e insulti; giro armato, evito gli angoli bui e solitari, e faccio assaggiare i cibi al gatto prima di mangiarli io stesso (scherzo, sia chiaro: sennò insorgerà la lega per la protezione dei gatti). Ma andiamo. Non ne valeva la pena. Perciò mi correggo: è un’opera bellissima, teatralissima, popolarissima, modernissima eccetera. Solo che neppure quell”” “”orrido”” implicava un giudizio di valore negativo: orridi sono anche la Lulu, e Don Giovanni. Nel senso che incutono spavento, e orrore. Ciò non toglie che siano capolavori, come a suo modo lo è Cavalleria, nell’estetica del melodramma popolare, selvaggia e convenzionale. Non è forse orrido quel che vi succede, un fidanzato che tradisce la fidanzata con la moglie di un amico, e finisce morto ammazzato proprio davanti alla chiesa nel giorno di Pasqua? In Sicilia, per di più?

Scrivevo anche che Cavalleria rusticana piace proprio per questo: perché è orrida e vera. Difatti riempie i teatri e manda in visibilio il pubblico, come è accaduto anche a Firenze, al Teatro Verdi, facendo dimenticare le non meno orride traversie che la città e la musica nel Comunale ammalato stanno attraversando. C’era bisogno di una nuova Cavalleria a Firenze dopo quelle recentissime di Siena e di Livorno?

E questo che si chiede a ùn teatro in un momento di crisi complessa e inquietante, che avrebbe bisogno di una risposta forte di fronte all’emergenza? In queste condizioni una scelta interlocutoria, che richiamasse il grande pubblico a teatro, forse era necessaria. E allora, viva la Cavalleria.

Poche opere come questa hanno la prerogativa – che è un merito – di potersi accontentare anche di esecuzioni di normale amministrazione.

Una buona coppia di soprani (Casolla e Dimitrova) che della parte di Santuzza conoscono tutti i segreti, e che non si risparmiano; un tenore molto interessante (Kristian Johannsson) dallo squillo sicuro e dal fraseggio elegante, anche se poco credibile scenicamente nelle vesti di Turiddu; e poi due veterani come Silvano Carroli e Fedora Barbieri, memori del loro passato, e una voce bene educata che deve maturare, quella di Katia Litting per Lola: tanto bastò per rendere in modo adeguato la Cavalleria che conosciamo da sempre. Anche la regia di Lamberto Puggelli, dentro le scene timidamente trasgressive di Raffaele Del Savio, con quella Sicilia tutta in bianco e nero, dovevamo già averla vista da qualche parte.

Ma c’era una cosa che ancora non conoscevamo: ossia la Cavalleria che fa oggi Gavazzeni. Pulita, serena, teatralmente perfetta, vigorosa e animata come si conviene, saggia e obiettiva; una interpretazione al di sopra delle parti, ma niente affatto distaccata, come di chi volesse dire: signori, questa è la Cavalleria, appartiene alla storia e io ve lo dimostro, il resto è affar vostro, sono ormai troppo vecchio per mettermi a discutere. I piaceri degli ottant’anni, quando si ha la fortuna o il merito di arrivarci con questa lucidità, con questa pienezza di vita, da veri, grandi artisti.

Al Verga musicato veristicamente da Mascagni doveva seguire il Pirandello rivisitato fantasiosamente, coreograficamente da Alfredo Casella: accostamento inedito, e culturalmente eccitante. Ma dell’annunciato balletto (in realtà commedia coreografica) di Casella non si vide nulla: al suo posto una esercitazione scolastica di un nipotino di Béjart in stile astratto, oscuro e simbolico, senza capo né coda, su una colonna sonora che Gavazzeni e l’ottima orchestra ci assicuravano in modo inequivocabile appartenere alla partitura della Giara, capolavoro di Casella, compositore italiano del nostro secolo meritevole di ogni rispetto. Nessuno, nemmeno i dirigenti del Teatro Comunale, nemmeno il pubblico, osò protestare per l’evidente truffa. Anche se meritevole di ogni rispetto, Casella non è Mascagni. Né, s’intende, La giara è l’intoccabile Cavalleria rusticana.

Musica Viva, n.4 – anno XV

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