Figaro può sorridere Sono quasi perfette le «Nozze» viennesi

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Abbado sul podio, Miller regista, Raimondi protagonista

 

 

Vienna – Queste Nozze di Figaro che hanno felicemente inaugurato le quarantesime Wiener Festwochen sono uno spettacolo emozionante, che potrebbe anche costituire una svolta nelle vicende più recenti e non sempre esaltanti dell’interpretazione mozartiana. Finalmente, in modo abbastanza inaspettato, ci siamo imbattuti in un regista che anziché dar corso alle proprie fantasie si è preoccupato seriamente di ciò che si trova nel libretto e nella partitura, il che non è poco, e lo ha perfino realizzato con notevole acume, leggerezza e buon gusto, ironia e affetto. E allora addio strapazzi del testo, trasferimenti d’epoca e d’ambiente, provocazioni e letture in chiave critica e sociologica: addio senza rimpianto. Che gioia, che piacere sbarazzarsi in un sol colpo di tutte queste sofisticazioni e ritrovare miracolasamente intatto il capolavoro, in tutta la sua freschezza e fragranza, nel suo respiro profondo e leggero: nella sua teatralità immensa.

Per una volta non dovevano stare sulle spine in attesa trepidante dei colpi di scena, ogni volta come nuovi, e dei momenti più surreali e più amati: l’affaccendarsi attorno alla poltrona nel primo atto, il salto dalla finestra di Cherubino nel secondo, il riconoscimento di Figaro nel terzo, la richiesta di perdono – e di quale perdono – nel quarto. Altro che cinismo, altro che lotta di classe, altro che rivoluzione alle porte: qui, come aveva ben compreso Richard Strauss, è eros stesso a parlare nella musica il linguaggio dei sentimenti e delle passioni, a rivelare, dall’aurora al crepuscolo, le stagioni della vita, con la malinconia del sorriso e la grazia della commedia.

Interprete inatteso di questa riuscita è stato il regista Jonathan Miller. Ora non stupite e non dubitate. Sì, Miller, quello che attualizzò nel nostro secolo la Tosca – la rivedrà chi vuole quest’anno al Maggio – ma che già col Don Giovanni – l’anno scorso, sempre a Maggio – mostrò che con i sommi si è costretti a fare sul serio. Non fu un Don Giovanni del tutto convincente: qualche alzata d’ingegno di troppo lo disturbava. Ma con queste Nozze Miller ha rinunciato alle trovate e ha assottigliato l’ingegno: portandoci con semplicità sulla strada di Mozart, affinché egli si rivelasse. Il tutto nel più naturale dei modi: con scene eleganti e funzionali, tutte montate un po’ di scorcio, inquietanti, piene di porte, finestre e nascondigli, dove ci si cela e si ascolta, ci si maschera ridendo e si soffre, ci si rifugia per tornare all’assalto. Con il decoro classico dovuto alla più classica delle commedie, tutta unità e coerenza, perfezione di gesti e di movimenti; con costumi giusti e cambiamenti di scena a vista, resi possibili da quel palcoscenico girevole che fu la risorsa dei più grandi registi e scenografi del passato e che i nostri geni moderni hanno invece snobbato e dismesso.

E accanto a Miller ecco un’altra sorpresa: Claudio Abbado direttore mozartiano. Lo avevamo lasciato incerto l’anno scorso nel Don Giovanni, soffocato da una regia pretenziosa e meschina; lo ritroviamo ora maturato come per incanto: equilibrato, sensibile, fine, disteso. Una conquista che abbraccia tutti i campi nei quali la battaglia con Mozart è più dura: il suono; i tempi; il fraseggio; i recitativi, finalmente intelligibili e schietti, sottratti allo sferragliare di fortepiani e falsi strumenti antichi dalla presenza chiara e discreta di un bel clavicembalo Neupert. E soprattutto l’emozione, la capacità di guardare senza paura, rischiando senza fingere che i dubbi con Mozart non esistano, nella musica che sta dietro le note.

Rassicurati e messi nella condizione di concentrarsi sulle loro parti i cantanti hanno reso al massimo anche nell’insieme, che in quest’opera di trame continuamente intessute e disfatte è come mai prima determinante. Risentire Ruggero Raimondi (il Conte) e Lucio Gallo (Figaro) in queste condizioni e ritrovare i personaggi che avevamo sempre sognato e intuito è stato tutt’uno. Per la Contessa di Cheryl Studer s’imporrebbero confronti impegnativi con le grandi di un tempo, a conferma che non di voci c’è carenza oggi, ma di intenzioni e di studio: la Studer, in più, ha una proprietà stilistica ammirevole. Ma soprattutto Marie McLaughlin è stata una Susanna strepitosa: vivace, spigliata, simpatica e ammiccante, da innamorarsene a prima vista. Nel gruppo dei cosiddetti comprimari (Lilowa, Mazzola, Kaserman, Tannenbergerova e Gati) spiccava il glorioso Heinz Zednik, un Basilio finalmente sottile, insinuante ma non caricaturale. Forse solo Gabriele Sima come Cherubino non era vocalmente all’altezza degli altri: ma sulla scena incarnava il paggio con una autorevolezza impressionante.

Un vero e proprio delirio di applausi ha salutato uno degli spettacoli più importanti di questi ultimi anni. Che sia capitato fra gli schiamazzi dell’anno mozartiano, era solo un caso, ma un caso fortunato, da accogliere con gratitudine.

 

«Le nozze di Figaro» di Mozart al Theater an der Wien (repliche oggi, il 16, 18, 20 e 22 maggio).


 

 

da “”Il Giornale””

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