Ferruccio Busoni – Tre Elegie (1.Nach der Wendung; 4. Turandots Frauengemach; 7. Berceuse)

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Ferruccio Busoni – Tre Elegie (1.Nach der Wendung; 4. Turandots Frauengemach; 7. Berceuse)

 

«In senso ideale ho trovato la strada mia propria, come compositore, soltanto con la seconda Sonata per violino op. 36a, che tra amici chiamo anche il mio op.1; a questa seguirono (secondo e terzo in senso proprio) il Concerto e Turandot. Ma ho assunto finalmente il mio volto assolutamente personale soltanto con le Elegie (finite il 10 gennaio 1908)». Questa confessione di Busoni basterebbe a fare delle Elegie un’opera centrale nella sua produzione, quasi il fulcro tra passato e futuro nell’orbita della sua evoluzione. Sotto questo titolo eminentemente rilkiano sono riuniti una serie di pezzi per pianoforte che segnano un momento capitale nella definizione del personale stile pianistico di Busoni. In origine il ciclo doveva comprendere cinque pezzi; ma successivamente Busoni ne ampliò il numero a sette, prima premettendo ad essi un «Preludio» dai chiari connotati simbolici, che fu portato a termine appunto il 10 gennaio 1908, indi aggiungendo in coda una versione pianistica della Berceuse élégiaque per orchestra, quest’ultima composta alla fine del 1909. Ma ognuno degli altri sei pezzi, con la sola eccezione del «Preludio» iniziale, rielabora parte del materiale di opere precedenti -o viceversa anticipa spunti che saranno poi ripresi in lavori successivi, secondo una caratteristica compositiva tipicissima di Busoni. Così la quarta Elegia («Turandots Frauengemach. Intermezzo») è un libero adattamento per il pianoforte, molto più ampio e virtuosistico, dell’omonimo quinto pezzo – ll gineceo di Turandot – della Suite orchestrale Turandot, composta nel 1904 come musica di scena per la «fiaba teatrale cinese» di Carlo Gozzi.

Il carattere di queste elaborazioni e anticipazioni si pone qui a uno stadio assai più avanzato e unitario rispetto a precedenti esperienze, cementato com’è da uno stile pianistico personale e maturo. Poiché già il cambiamento del mezzo impone una nuova scelta, non si tratta mai di semplici trasposizioni né tanto meno di trasferimenti integrali, ma di vere e proprie trascrizioni nel significato busoniano del termine: ampliamenti, o viceversa condensazioni, adattati al linguaggio peculiare del pianoforte. In questo contesto la prima Elegia assume valore simbolico recando titolo e sottotitolo emblematici: «Nach der Wendung» (Dopo la svolta) dichiarato annuncio di quel nuovo stile individuato e realizzato nelle Elegie, e «Recueillement» (Raccoglimento), nel duplice senso di raccoglimento interiore dello spirito e di raccolta delle esperienze precedenti. Essa inizia infatti riprendendo «a mezza voce» le ultime tre battute con cui si estingue («visionario») il sesto pezzo «Erscheinung» (Apparizione), in origine l’ultimo del ciclo, quasi a voler stabilire una corrispondenza circolare, infinita e immediata, fra principio e fine del ciclo stesso. Così la settima e ultima Elegia, «Berceuse», di cui già dicemmo essere la trascrizione del capolavoro sinfonico di Busoni, appare come un’epigrafe sottratta alle leggi stesse del divenire, una visione insieme radiosa e malinconica di un’essenza rarefatta, eterea e magica, profondamente spirituale.

Michele Campanella
Sala Verdi del Conservatorio di Milano

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