Ferruccio Busoni – Sonatina n. 3 ad usum infantis; Sonatina n. 4 in Die Nativitatis; Christi MCMXVII; Sonatina n. 6 Suner “”Carmen””

F

Ferruccio Busoni – Sonatina n. 3 ad usum infantis; Sonatina n. 4 in Die Nativitatis; Christi MCMXVII; Sonatina n. 6 Suner “”Carmen””

 

Nel catalogo delle sue opere Busoni raggruppò sotto il titolo comune «Sonatine» sei brevi pezzi pianistici di forma e impegno diversi, la cui composizione abbracciava il decennio della piena maturità artistica, dal 1910 al 1920. Il termine Sonatina non va inteso qui nella sua accezione classica ma semplicemente quella più generica di piccolo pezzo da suonare: tanto che esso appare ogni volta diversamente specificato e caratterizzato e scompare nell’ultima delle sei composizioni, per comodità designata come Sonatina Super «Carmen» ma originariamente intitolata Kammerphantasie über Bizet ‘s «Carmen» (Fantasia da camera sulla Carmen di Bizet).

La terza Sonatina, che reca il titolo latino Sonatina ad usum infantis pro clavicimbalo composita e la dedica alla giovane e ignota pianista «Madeline M. Americanae», fu composta in America nel 1915. Il titolo non deve trarre in inganno: più che composta per il clavicembalo, essa si ispira a uno stile clavicembalistico semplice e chiaro modellato sull’esempio di Bach (proprio in quell’anno Busoni aveva concluso la revisione del secondo libro del Clavicembalo ben temperato); la scrittura è per lo più a due voci, mancano segni espressivi e indicazioni dinamiche, mentre anche il processo tonale si uniforma alla solare chiarezza del pezzo. Solo nell’ultimo dei cinque brevi movimenti, «Polonaise», il delicato giuoco contrappuntistico è rinforzato da accordi a quattro parti divisi fra destra e sinistra.

La quarta Sonatina in Diem Nativitatis Christi MCMXVII, composta appunto per il Natale 1917 e

dedicata al figlio Benvenuto, è un esempio di quella spirituale intimità che colora periodicamente la

musica di Busoni, astraendosi quasi dal terreno dei conflitti linguistici più aspri. Dall’accento quasi

organistico, solenne ed espressiva nelle cangianti sfumature delle brevissime parti che la compongono – quasi fuggevoli stati d’animo fatti musica -, tenuta tutta, salvo il «Moderatamente vivace» centrale, a «mezza voce» o «sotto voce», questa Sonatina, rappresenta uno studio sui diversi modi di attaccare e di sostenere il suono e una ricerca sulle possibilità di combinare gli effetti dei pedali.

Sesta e ultima Sonatina, la Fantasia da camera sulla «Carmen» di Bizet è invece un lavoro di tutt’altro genere. Suo modello dichiarato è la Fantasia su temi d’opera di cui Liszt era stato maestro insuperato; ed è anzi significativo che già nel 1917, tre anni prima di realizzare la Sonatina, che fu composta a Parigi nel 1920, Busoni avesse prefigurato un lavoro di questo tipo proprio esaminando da vicino il carattere e l’articolazione formale delle parafrasi lisztiane, e in particolare quella sul Don Giovanni di Mozart.

La scelta e lo sviluppo dei motivi di Bizet segue un arco teso e scandito, con sapiente distribuzione degli effetti e dei contrasti. Così nell’ampia introduzione della scena del mercato dall’atto quarto («Allegro deciso», nella scintillante tonalità di la maggiore dell’originale), l’episodio contrastante è costituito dalla romanza del fiore («Andantino con amore», in re bemolle maggiore), cui seguono le variazioni sull’Habanera; mentre il tema di Carmen, con le sue laceranti seconde eccedenti, appare soltanto alla fine, dopo la squillante musica da circo e come epilogo tragico («Andante visionario»), che si spegne a poco a poco in un velato la minore. Non mancano alla base di questo pezzo gli elementi di virtuosismo e di brillantezza imparati alla scuola di Liszt, né quello sfarzo ornamentale che avvolge il materiale tematico fissandolo in una scrittura strumentale caratterizzante e incisiva, ricca di sfumature armoniche e di contrasti; ma, come osserva Roman Vlad, «i tratti di bravura cominciano a perdere la loro esteriore brillantezza e ad acquistare una qualità ineffabile che vale a trasfigurare fantasticamente, facendole apparire in una luce quasi irreale, le immagini sonore di Bizet, intrise originariamente di un così terrestre calore sensuale». Questo pathos trattenuto e sottratto all’immediatezza teatrale del dramma si cala, nella versione pianistica di Busoni, in un nitore formale di plastica evidenza e di proporzioni classiche, snelle e stilizzate.

Michele Campanella
Sala Verdi del Conservatorio di Milano

Articoli