Fra le numerose musiche a vario titolo ispirate, durante tutto l’Ottocento e oltre, al capolavoro goethiano, la Sinfonia Faust di Franz Liszt (più esattamente, nel titolo originale, Eine Faust-Svmphonie, Sinfonia Faust, da Goethe) occupa un posto abbastanza singolare. Non si tratta evidentemente di un lavoro drammatico, e non solo perché la sua destinazione non è il teatro, ma la sala da concerto: ben più ricche di azione, da questo punto di vista, sono non solo La damnation de Faust di Hector Berlioz (originariamente concepita per l’esecuzione nella forma di un oratorio profano) ma anche le Szenen aus Goethes Faust di Robert Schumann, che toccano alcune significative stazioni del dramma fondamentalmente rispecchiandone lo svolgimento. Non si tratta però neppure di un poema sinfonico alla maniera canonica lisztiana, del tipo di Les Préludes, Mazeppa od Orpheus: e non solo perché, oltre alla grande orchestra, vi figurano nella versione completa un tenore solista e un coro maschile, peraltro limitati alle pagine finali, che occupano non più di un decimo dell’intera partitura e che possono essere, come avviene in questa esecuzione, omesse. La Sinfonia Faust è piuttosto una Sinfonia a programma che si riallaccia al modello della Sinfonia fantastica di Berlioz, mutandone lo spirito più ancora che la forma: nel senso che i riferimenti programmatici sono impiegati secondo leggi e sviluppi strettamente musicali e costituiscono il motivo ispiratore, la scintilla iniziale che accende un percorso articolato secondo principi sinfonici.
Formalmente la composizione, della durata di circa un’ora, si articola in tre movimenti indicati dall’autore con il titolo complessivo di Charakterbildern, “”ritratti caratteristici””: rispettivamente “”Faust””, “”Gretchen”” (ossia Margherita) e “”Mefistofele””. I tre personaggi principali del Faust di Goethe sono dunque rappresentati non in quanto protagonisti di un’azione (e difatti non c’è alcun accenno a determinate scene del dramma) bensì quali soggetti psicologici (in un certo senso anche morali) incarnati nelle tre figure che si fronteggiano, in quanto caratteri, nel dramma stesso, ma quasi estratti dalle situazioni del dramma: per così dire elevati a programma di tre diversi atteggiamenti dello spirito. L’elemento drammatico nasce dalla elaborazione dei temi che contrassegnano questi tre diversi atteggiamenti: e si tratta di temi straordinariamente drastici e pregnanti, che prefigurano il concetto wagneriano del “”Leitmotiv”” nella misura in cui tendono a sviluppare da un unico motivo una intera rete di relazioni e di derivazioni. Sotto questo aspetto, la tecnica è di matrice sinfonica, ma l’invenzione dei motivi (con tutte le loro implicazioni) è di natura programmatica.
L’idea che la cosiddetta “”musica a programma””, di cui Liszt realizza nel modo più compiuto la concezione, si attui nella descrizione musicale di un contenuto letterario, precisato e dettagliato extramusicalmente, appartiene più alla immaginazione che alla realtà dei fatti. Ma se nei suoi poemi sinfonici basati sulla continuità di un unico movimento Liszt stesso si mantiene ai limiti dell’ambiguità, nel progetto di più ampie proporzioni della Sinfonia Faust (e del suo sontuoso pendant, la Sinfonia Dante per soprano, coro femminile e orchestra) questo equivoco è interamente chiarito: programmatica è l’ideazione dei temi, sinfonica (si direbbe quasi puramente sinfonica, se Liszt non fosse costituzionalmente refrattario a questo avverbio) è l’elaborazione compositiva: anche esteriormente, nella articolazione in tre grandi movimenti di Sinfonia con il tempo lento, soavemente lirico e meditativo, al centro di due movimenti armonicamente e contrappuntisticamente densissimi, espansivi e brillanti nella tessitura.
La decisione di concludere la Sinfonia con il Chorus Mysticus che a sua volta chiude il Faust di Goethe non era in origine contemplata nel progetto lisztiano: progetto peraltro, come tipicissimo di quest’autore, a lungo pensato, rivisto e modificato. Dopo molti preparativi risalenti alla metà degli anni Quaranta il lavoro fu ripreso nell’estate del 1854 e portato a termine il 19 ottobre, senza coro finale; questo venne aggiunto al più tardi nella primavera del 1857, poco avanti la prima esecuzione pubblica avvenuta sotto la direzione di Liszt il 5 settembre di quell’anno a Weimar, in occasione dei festeggiamenti congiunti in onore di Goethe, Schiller e Wieland. Altri rimaneggiamenti e “”miglioramenti”” soprattutto alla chiusa vocale seguirono fino al 1861, data di pubblicazione della partitura e della prima esecuzione della versione completa al Musikfest di Weimar sotto la direzione di Hans von Bülow, e periodicamente fino addirittura al 1880, con l’aggiunta di 10 battute al terzo movimento per consentire l’esecuzione senza il coro finale.
Liszt, dunque, aveva pensato di condensare il Faust in tre ritratti, il primo dei quali, nel movimento iniziale intitolato Faust, avrebbe dovuto costituire una sorta di autoritratto dell’autore stesso. Esso si compone di cinque gruppi di te-mi, ognuno dei quali definisce un aspetto del carattere del personaggio. Sarebbe inutile, come pure si è tentato, collegare questi temi a momenti specifici del dramma: quel che conta è la volontà di rappresentare, del personaggio, non tanto i tratti decorativi o pittoreschi quanto i conflitti psicologici e umani, la lotta interiore fra l’aspirazione a sublimi pensieri di rigenerazione e il richiamo sensuale della passione terrena. Così il primo terna, che apre il “”Lento assai””, è quasi un emblema dell’anelito verso forze sconosciute, alla ricerca di una superiore coscienza: costruito su una sequenza ascendente di quattro triadi eccedenti tali da configurare orizzontalmente una serie di dodici suoni (il totale cromatico della scala, la prima costellazione dodecafonica della storia della musica), esso per così dire fotografa una tensione senza riposo, uno slancio senza via d’uscita. I temi che seguono oscillano tra rapinosa, appassionata, bruciante brama dell’irraggiungibile (“”Allegro impetuoso””, con violenti sussulti di sincopi e continua instabilità armonica) e introversa, dolente rassegnazione, ora intrisa di nostalgia infinita ora nuovamente spinta alla lotta energica, bellicosa e marziale. Il simbolismo di questi temi si frantuma nell’elaborazione condotta secondo criteri di sviluppo prettamente sinfonici (parti dell’uno si aggrovigliano con parti dell’altro, serbando tuttavia una logica compositiva di complementarità), ma mantiene la sua evidenza nei ritorni ciclici delle figure iniziali, decantate e indirizzate con sempre maggior chiarezza verso un ordine tonale immanente. Dalle molte facce di una personalità conflittuale emerge l’aspirazione a un sereno, conciliante superamento dei contrasti.
Il secondo movimento (Gretchen) è una parentesi lirica, un idillio nel quale più che un personaggio vivente è presentato un ideale poetico. La delicatezza della strumentazione, con la sua assottigliata, finissima forma cameristica contrasta nettamente con i forti spessori dei movimenti laterali, evoca la figura di una ragazza innamorata e ingenua nei suoi sogni, ma è nello stesso tempo la rappresentazione dell’eterno Elemento Femminile”” vagheggiato da Faust e, per suo tramite, da Liszt. Tanto che non solo i temi dell’introduzione derivano per sottrazione di tensioni cromatiche da quelli di lui, ma anche il nuovo tema esposto dalla cantilena dell’oboe accompagnato dalla viola, sintesi del soave incantamento amoroso di Margherita, è in relazione con la visione trasfigurante dell’innalzamento verso la sfera sublimata dell’Eterno femminino”” cui darà voce e parola il coro finale.
Un processo analogo presiede all’architettura del terzo movimento, Mefistofele, basato sulla deformazione insieme satanica e ironica del materiale tematico appartenente all’anelito di Faust. Mefistofele è lo spirito che nega, che vuole il male e opera, in senso più profondo della distorsione, per il bene: non ha quindi un proprio tema, ma si manifesta attraverso la corruzione acida delle pulsioni vitali di Faust, attaccando e cercando di distruggere i suoi temi. L’ordito di questo movimento, compendio elevato all’ennesima potenza di tutte le atmosfere diaboliche create da Liszt, è ferocemente parodistico e tocca il culmine in una fuga macabramente grottesca, nella quale la follia del disordine negativo si sposa con la massima evidenza rappresentativa di un principio ordinatore. Lo spirito sardonico, volgare e scurrile, s’impregna d’ironia, allentando la sua morsa; e dall’ironia, con rapido ribaltamento psicologico, nasce la trasfigurazione vittoriosa verso la luce, additata dal ripresentarsi, nella sua purezza trascendentale, del tema incontaminato di Margherita. Le tenebre si squarciano e una misteriosa attesa segna il passaggio al clima mistico delle ultime pagine, esplicitamente annuncianti la catarsi. Mentre nella versione senza coro finale una cadenza tripudiante in do maggiore celebra senz’altro indugio l’apoteosi.
Vale la pena di soffermarsi brevemente sulla chiusa vocale, anche se qui non viene eseguita. L’estrema concentrazione e la intenzionale solennità dell’epilogo, come pure la persistenza della tonalità di do maggiore, sembrano indicare una volontà programmatica precisa: le tensioni aspramente accumulate precedentemente si sciolgono in un gesto esplicito di antica riconciliazione. I tenori e i bassi scolpiscono omofonicamente le parole del “”Coro Mistico”” come una sentenza
immutabile, mentre il tenore solista le ripete più volte inerpicandosi faticosamente verso l’alto, quasi individualizzandole, eternandosi: splendente si riconosce, abbracciato a Faust, il tema di Margherita finalmente risolutivo.
Liszt mette in musica gli ultimi otto versi del Faust con disarmante semplicità, quasi ritirandosi sullo sfondo. In essi è detto con le parole del poeta ciò a cui la monumentale partitura mirava e che la musica, nei tre ritratti, aveva già compiuto: sono essi il vero programma interno realizzato dal poema sonoro, naturalizzato in Sinfonia.
Tutto l’effimero / è solo un simbolo è Faust;
l’inattingibile / qui diviene realtà è Margherita;
l’indescrivibile / qui si è adempiuto è Mefistofele.
Per l’ultima coppia di versi, occorrevano le voci per intonare la redenzione e renderla completa: l’Eterno femminino / ci trae verso l’alto. Un concetto che sta isolato, al di là dei ritratti.
Giuseppe Sinopoli / Orchestra Giovanile Italiana
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Gestione autonoma dei concerti – Stagione sinfonica 1994-95