La scomparsa a 78 anni del musicologo, ex-direttore artistico del Maggio Fiorentino
Roma- Il musicologo Fedele D’Amico è morto ieri a Roma per i postumi di una serie di attacchi cardiaci. Era nato a Roma il 27 dicembre 1912. I funerali si svolgeranno domattina nella parrocchia di San Vitale in via Nazionale.
Il rammarico più grande, di fronte alla notizia della morte di Fedele D’Amico, è che ciò che ora di lui ci rimane può rendere solo una pallida idea della grandezza e dell’originalità dello studioso. Non che D’Amico non abbia pubblicato molto, fin da quando, ancora giovanissimo, curò la sezione musica e danza dell’«Enciclopedia dello Spettacolo», lavoro di cui andava particolarmente fiero e che rimane ancora oggi un contributo fondamentale per rigore e chiarezza metodologica e critica. Ma nessuno come D’Amico avrebbe potuto darci quella sistemazione sui grandi temi della storia della musica e del teatro per mezzo della quale la riflessione sulla musica entra nel cuore stesso della cultura e dell’arte, di ieri come di oggi.
Pochi come lui potevano vantare una conoscenza altrettanto profonda della musica: una conoscenza basata su studi solidi non solo musicali, maturata nel confronto continuo con le partiture e con le esecuzioni; perfino al di là dell’esercizio, a cui non avrebbe mai potuto rinunciare, della professione di critico musicale. Critico militante D’Amico fu sempre, nel senso più pieno del termine: per passione e natura, e con una carica polemica che tuttavia non perdeva mai di vista, pur partendo dalla singola occasione, la riflessione e il ragionamento di più ampio respiro. Sotto questo profilo il saggio e l’articolo costituivano per lui la misura ideale per porre ed esaurire un tema, in una ricerca continua della sintesi e della chiarezza, della concatenazione logica, della proposta illuminante. E basta scorrere «I casi della musica», raccolta dei suoi articoli sull’«Espresso» alla cui continuazione D’Amico stava lavorando proprio in questi giorni (e c’è da sperare che altri sappiano ora completare questa impresa) per rendersene conto a ogni passo.
La vastità e la varietà dei suoi interessi gli impedivano di soffermarsi esclusivamente su singoli aspetti di questa ricerca, a cui certamente non poneva limiti. Con lo stesso acume e la stessa intelligenza svolse la sua attività di docente all’Università di Roma, di organizzatore di convegni, di curatore di importanti pubblicazioni (fra cui gli scritti completi di Musorgskij e Busoni); entrando anche nel vivo della pratica musicale con le sue irraggiungibili versioni ritmiche in italiano di numerose opere in lingua straniera e con l’impegno a favore dei suoi autori prediletti (che erano poi tantissimi, in ognuno trovando qualcosa di nuovo da dire: come nel caso del Rossini serio o del Puccini più popolare, in anni di confusione ideologica e pregiudizi critici; ma anche poi, sul versante contemporaneo, Casella, che era stato il suo maestro, Malipiero, Dallapiccola, Petrassi e via citando). Proprio accettando la direzione artistica del Maggio Musicale Fiorentino nel 1985 D’Amico aveva potuto dare un quadro preciso delle sue predilezioni, ma anche di ciò che obiettivamente contava nell’evoluzione del teatro musicale. Per tutti questi lunghi anni D’Amico è stato non solo una figura di grandissimo rilievo della nostra cultura musicale ma anche un personaggio di enorme fascino e di prorompente personalità. Amava le battute folgoranti, le discussioni accese, le prese di posizione imprevedibili; ma senza venir mai meno al principio della lucidità e del confronto con la realtà delle cose, per quanto sottili e implacabili potessero sembrare i suoi ragionamenti. Accettava malvolentieri di avere torto; ma non si sottraeva mai alla verifica delle sue idee, e raramente falliva il colpo. Il suo principio fondamentale era che la musica, come ogni altra arte, è espressione in positivo e comunicazione; e diffidava dunque degli apostoli del «negativo» e dei cantori della disperazione.
Per quanto nessuno come lui sapesse capire il valore delle persone nel campo della musica. – solo all’interpretazione non si era mai rassegnato a dare quell’importanza che oggi va tanto di moda, nella regia d’opera per esempio, delle cui «attualizzazioni» diffidò sempre – D’Amico non è stato un maestro nell’accezione più comune del termine: unica e irripetibile essendo la sua persona; la sua cultura, la sua preparazione, la forza della sua individualità Egli è stato qualcosa di più: un punto di riferimento che ha insegnato molto a tutti coloro che hanno avuto modo di conoscerlo e di frequentarlo, di ascoltarlo o di leggerlo; senza che mai sembrasse salire in cattedra. Ora che non c’è più, anche il ricordo della vivacità della sua presenza basta a far sentire quanto gli dobbiamo e quanto ci mancherà.
da “”Il Giornale””