Ci son voluti ben settantaquattro anni dalla prima (Vienna 1919), ma alla fine La donna senz’ombra di Hofmannsthal e Strauss è approdata anche a Firenze: non al Maggio, ma come secondo titolo della stagione lirica invernale. Se a Monaco, in una sola stagione, riuscirono a rappresentare tutte e quindici le opere di Strauss, a Firenze ne mancano all’appello ancora otto: nel senso che non vi sono mai state date. Intanto contentiamoci di questa ripresa, e registriamone con soddisfazione l’incontrastato, commosso successo. Non c’era il pubblico delle grandi occasioni nella sala del Comunale: eppure gli assenti hanno avuto solo torto.
Se a Firenze c’è bisogno di ricostruire un tessuto connettivo fra città e teatro, operazioni di consolidamento come queste sono salutari. Tanto piú che l’esecuzione nel suo complesso è stata assai buona. Non poneva sorprese l’allestimento importato dall’Opera di Colonia e già sperimentato alla Scala, regia di Jean-Pierre Ponnelle (ripresa da Jutta Gleue): semplice, un po’ didascalico ma con solida tenuta e momenti di viva suggestione. L’impiego dei sopratitoli garantiva la comprensione, se non delle mirabolanti invenzioni poetiche, almeno della trama e della vicenda. Cui la musica dà veramente un complemento della massima eloquenza. E proprio su questo versante la direzione di Spiros Argiris, competente ed equilibrata, servita da una prova maiuscola dell’orchestra, era all’altezza delle attese. Di formato internazionale, tipo Monaco o Salisburgo, la compagnia di canto: dove alcune conferme, come la maturazione di Sabine Hass e Robert Schunk nei ruoli della coppia imperiale, e l’elevato, sicuro professionismo di Bernd Weikl (Barak), Janis Martin (sua moglie) e Hanna Schwarz (la Nutrice) mantenevano la tensione della serata alla giusta temperatura.
da “”Il Giornale””