Pisa – Per dar conto seriamente dell’ultima e conclusiva tappa del Progetto Mozart-Da Ponte prodotto dall’Ente Teatro Romano e dalla Scuola di musica di Fiesole – Don Giovanni, andato ora in scena con lieto successo al Verdi di Pisa – occorreva, data la natura stessa dell’operazione, una verifica incrociata. Le tre diverse compagnie che si alternano nelle rappresentazioni, abolendo dunque il concetto stesso di «prima», sono il risultato di un seminario tenuto da Claudio Desderi a Fiesole, che già negli anni scorsi – con Così fan tutte e Le nozze di Figaro – era sfociato in un cospicuo numero di recite in crescendo: nelle quali una trentina di cantanti giovani, con Desderi stesso in veste di preparatore e direttore, avevano non soltanto occasione di esibirsi sul palcoscenico, spesso per la prima volta, ma soprattutto di imparare strada facendo la difficile arte del canto mozartiano, la vocalità e se possibile lo stile.
Con Don Giovanni, della trilogia italiana il capitolo da ogni punto di vista più arduo, non a caso affrontato per ultimo, si pensava di poter trarre i frutti di questo lavoro serrato. E così è stato, almeno in parte. Il gruppo creato da Desderi ha raggiunto, con l’entusiasmo, un notevole affiatamento; mettendo anche in luce – ciò che proprio in Don Giovanni, la meno «corale» delle tre opere, non guasta affatto – individualità interessanti. Roberto Scaltriti, per esempio, è un Don Giovanni già assai autorevole, sia per presenza scenica che per qualità vocali: molto promettente nonostante la giovanissima età, e fatalmente svettante sul resto della compagnia maschile. Con lui si alternavano, nelle parti del Don e del suo servitore Leporello, Paolo Rumetz, Enzo Di Matteo, Umberto Chiummo e Alessandro Svab. Questi ultimi, proprio come si usava al tempo degli impresari, facevano anche il Commendatore, accanto a Carlo Marini e Marco Filiberti, Masetto; mentre il terzetto dei Don Ottavio (Gianluca Sorrentino, Stuart Patterson e Filippo Piccolo) confermava quanto questo ruolo sia difficile da ricoprire oggi, a ogni livello. Maggior omogeneità offriva la compagnia femminile. A gradi diversi: adeguate, e perfino deliziose, le Zerline (Maria Costanza Nocentini, Anita Dordoni, Anna Luisa Scano); convincenti, nel ruolo di Elvira, Silvia Mazzoni, Marina Fratarcangeli e Antonia Brown, forse le voci in assoluto più mature; agguerrite, e comunque ben consce delle insidie della parte di Donna Anna, Patrizia Ciofi, di nuovo la Scano e Antonella Trovarelli.
Proviamo però a ragionare sul significato complessivo dell’operazione. Che va lodata per quello che persegue, ossia uno studio continuato su un autore quant’altri mai formativo; ma che presenta anche alcuni lati ambigui se il risultato di uno studio seminariale – dove l’accento va sulla parola studio – si propone come una realizzazione vera e propria dell’opera. L’impressione è allora che il motivo centrale – offrire a dei giovani cantanti l’opportunità di cimentarsi in via sperimentale e confini essenzialmente didattici – sia sempre più spostato verso altri obbiettivi, difficilmente raggiungibili in queste condizioni. Vuoi perché Desderi, cantante il cui istinto teatrale non sarà mai abbastanza considerato, è un direttore improvvisato, monotono e pesante, e incapace di far quagliare le cose tra orchestra e palcoscenico; anche se con l’orchestra della Camerata musicale fiorentina dimostra di aver lavorato seriamente. E vuoi soprattutto perché il ventottenne regista Andrea Di Bari, alla sua prima esperienza con l’opera lirica, anziché insegnare ai cantanti a muoversi in scena e ad ambientarsi su un palcoscenico cosa non meno importante che saper cantare secondo uno stile – ci tiene a proporre la sua interpretazione del Don Giovanni: perdendosi un po’ per strada e talvolta sbagliando opera (perché mai il Commendatore non dovrebbe mai apparire in scena? Mica è Fafner nell’antro della foresta). Tutto ciò, inevitabilmente, pesa sulla resa dei cantanti: divenuti, da scopo di un progetto, strumenti di altre intenzioni. Ed è un po’ presuntuoso mettere in scena Don Giovanni con il proposito di interpretarlo e spiegarlo, sia pure con un atto d’amore; bastava eseguirlo com’è, e coronare così un buon lavoro scolastico ottimamente concepito per preparare a una futura carriera – o semplicemente al piacere di scoprire Mozart – artisti che evidentemente ci credono e si impegnano molto. Oltre tutto, ciò sarebbe stato molto più importante, fondato e costruttivo, che voler fare un nuovo, ennesimo Don Giovanni: con altre, impossibili ambizioni.
«Don Giovanni» di Mozart (repliche stasera e domani a Rosignano, il 20 e i1 23 novembre a Pistoia, poi in tournée nei circuiti Ater e Scala).
da “”Il Giornale””