Cimarosa, fu compositore fecondissimo, non soltanto per il teatro, a cui pure rimase legata la sua fuma in vita. Degli oltre settanta melodrammi da lui scritti, la quasi totalità ci è giunta in fonte manoscritta e in parte non ci è giunta affatto. Ciò non deve sorprendere. Nell’epoca in cui egli visse e creò – la seconda metà del Settecento – l’opera era un prodotto di consumo che guardava all’attualità: si componeva su commissione per determinati teatri e spesso per determinati cantanti, le partiture non venivano di regola stampate e le parti o rimanevano in possesso degli impresari e dei teatri a cui le opere erano destinate o circolavano in copie manoscritte nel caso di eventuali riprese presso altri teatri. La diffusione dell’opera settecentesca al di fuori dei suoi confini naturali venne ostacolata nell’Ottocento dall’affermarsi di un nuovo tipo di opera – il melodramma romantico – che rifiutava in blocco le convenzioni del secolo precedente: e anche quando questa diffusione, almeno parzialmente, si verificò, ciò avvenne senza che si tenesse conto della sostanza e dell’integrità dei testi, ma cercando anzi di adattarne lo spirito e le forme al gusto moderno: con manomissioni pesanti e anche radicali. Questa tendenza non risparmiò neppure autori per noi oggi classici conte Mozart: le cui opere – basti pensare a Idomeneo o a La clemenza di Tito, ma il discorso potrebbe essere esteso anche a Don Giovanni e Così fan tutte -,furono rielaborate più volte secondo la nuova sensibilità. II ripristino della vera immagine di Mozart è una conquista relativamente recente, il cui merito va alle edizioni critiche filologicamente corrette che ritornano alla lezione originale dei testi. E solo sulla base di queste premesse è possibile accostarsi in modo adeguato alla musica e al teatro del Settecento. Ciò vale anche per Cimarosa. Ma nel suo caso questo fenomeno generale fu ulteriormente aggravato da vicende legate alla sua biografia, su cui è necessario spendere qualche parola.
Domenico Ciniarosa nacque ad Aversa in provincia di Caserta il 17 dicembre 1749 da una famiglia di umili condizioni (il padre muratore, la madre lavandaia). A quattro anni seguì i genitori a Napoli, e questa fu in un certo senso la sua prima fortuna: solo in un certo senso però, se è vero che il padre morì poco dopo cadendo da una impalcatura durante i lavori di costruzione della nuova reggia di Capodimonte, lasciando la moglie e l’unico figlio nella più nera delle miserie. A quell’epoca non esistevano ancora i sindacati per la tutela dei lavoratori e delle loro famiglie: esistevano però, a Napoli da lungo tempo, i Conservatori: istituti di carità finanziati col denaro pubblico che ospitavano gli orfani e i bambini poveri per avviarli a una professione, impartendo loro in primo luogo un’istruzione musicale. Forte del suo precoce talento, Domenico venne gratuitamente accolto nel 1761 in una delle migliori fra queste scuole, il Conservatorio di Santa Maria di Loreto. E qui ebbe una seconda fortuna: quella di trovare insegnanti di primissimo ordine come Antonio Sacchini per il canto e Fedele Fenaroli per l’armonia e il contrappunto. Oltre che esperto di canto e ottimo cantante egli stesso, Cimarosa fu presto in grado di suonare con buona padronanza tecnica ed espressiva il violino, il clavicembalo e l’organo: poté così accostarsi alla composizione che a quei tempi presupponeva una formazione non soltanto teorica ma soprattutto pratica, e muovere i primi passi nel teatro, lo sbocco naturale per un musicista napoletano. Dell’incontro con Niccolò Piccinni, uno dei protagonisti più in vista della scuola napoletana fondata da Pergolesi, assurto a notorietà internazionale come rappresentante del muovo gusto teatrale italiano, non sappiamo molto in verità: ma è probabile che l’insegnamento di lui equilibrasse la freschezza e l’immediatezza della facile vena compositiva di Cimarosa con una misura espressiva più calibrata e chiara.
Il lancio vero e proprio non avvenne però a Napoli, bensì a Roma, quando Cimarosa era già affermato come compositore di opere sia serie che comiche (questa distinzione rimaneva ancora valida: anche se già si annunciavano i fermenti che avrebbero portato a individuare più sottili sfumature fra i generi, fino alla loro fusione). Fra i trenta e i quarant’anni Cimarosa produsse uno e anche più lavori all’anno, riscuotendo ovunque successi: era diventano un compositore alla moda. Ma ciò evidentemente non gli bastava: le sue aspirazioni lo portavano oltre i confini dell’Italia. Fu così che nel 1787 accettò l’invito a recarsi a Pietroburgo alla corte di Caterina II, l’imperatrice “”autocrate di tutte le Russie “” che amava la musica e l’arte italiana. L’imperatrice lo accolse entusiasticamente, specie dopo averlo sentito cantare e suonare al clavicembalo, e gli assegnò l’incarico di maestro di cappella. Che Cimarosa onorò con una intensa attività produttiva, di drammi, messe, cori e cantate. Fu un periodo importante per la sua vita, ma limitato nel tempo. Nell’estate del 1791 Cimarosa intraprese la via del ritorno, lasciando in Russia un cospicuo numero di opere destinate ad arricchire le biblioteche e gli archivi dei teatri imperiali: un vero e proprio museo, esistente ancora oggi.
Si situa a questo punto la svolta della sua carriera. Di passaggio a Vienna, Cimarosa venne incaricato di comporre un’opera su libretto del poeta cesareo Giovanni Bertati: ne nacque il suo capolavoro, Il matrimonio segreto, andato in scena al Burgtheater di Vienna il 7 febbraio 1792. L’opera ebbe tale successo che l’imperatore Leopoldo II, che pure non era un amante del teatro musicale, invitò a cena il compositore, i cantanti e gli strumentisti e chiese che subito dopo l’opera venisse ripetuta tutt’intera: un bis davvero unico nella storia del teatro. Naturalmente il compositore si sottomise con regale condiscendenza ai voleri imperiali. E pensò bene di sfruttare il momento magico componendo due nuove opere, la seconda delle quali – Amor rende sagace, dramma giocoso in un atto sempre su libretto del Bertati, rappresentato sempre al Burgtheater il I ° aprile 1793 – è quella stessa che viene adesso ripresa per la prima volta in epoca moderna dopo quasi due secoli di oblio.
Il colpo di rinnovare il successo del Matrimonio segreto tuttavia non riuscì. E non soltanto perché era difficile ripetere un capolavoro unico nel suo genere, nato in circostanze particolari e quasi involontariamente, ma soprattutto perché all’incostante imperatore e alla sua corte non interessava granché proseguire su quella strada. Cimarosa capì la situazione e fece ritorno a Napoli, preceduto dalla fortuna del Matrimonio. In quello stesso anno l’opera debuttò al Teatro dei Fiorentini in una versione riadattata per l’occasione ed ebbe ben 110 repliche in cinque mesi. Si trattava ora di gestire il successo, cosa non facile per nessuno a quei tempi nel teatro d’opera e ancor meno per un impulsivo come Cimarosa. Da Amor rende sagace trasse lo spunto per una commedia musicale, Le astuzie femminili, che ebbe ottima accoglienza. Cimarosa credette di aver imboccato la strada giusta: quella della commedia nella quale la comicità si stemperava nell’arguzia e nel gioco sempre mutevole dei sentimenti.
Si preparavano intanto eventi che avrebbero pesato negativamente sulla fortuna del compositore e sulla sua vita. Un primo campanello d’allarme suonò quando cominciarono a manifestarsi con sempre maggiore frequenza disturbi di chiara natura psicosomatica e nevrotica, con ansie e repentini cambiamenti di umore. Non soltanto di umore. Tanto che il secondo campanello d’allarme lo trovò del tutto impreparato e indifeso. Allo scoppio della rivoluzione napoletana nel 1799 Cimarosa prese infatti le parti degli insorti, fino a spingersi imprudentemente a scrivere un Inno repubblicano che venne trionfalmente eseguito dagli allievi del Conservatorio. Quest’impulso sicuramente sincero lo tradì. Soffocata l’insurrezione, la reazione di Ferdinando IV si accanì su di lui con inevitabile violenza. Cimarosa tentò di parare il colpo con un atto di debolezza che indicava la sua instatbilità: compose una Cantata “In occasione del bramato ritorno di Ferdinando re di Napoli” e ripudiò il suo passato di rivoluzionario. Ciò lo salvò dalla morte, ma non dal carcere, che scontò per quattro mesi. Liberato per un intervento delle alte sfere ecclesiastiche, che continuavano a proteggerlo, o, come altri sostengono, per volontà dei russi, che non lo avevano dimenticato, Cimarosa fu costretto ad abbandonare il Regno delle Due Sicilie e a ricominciare da capo la sua esistenza altrove.
Ma era ormai troppo tardi. Riparò a Venezia, dove sognò di riprendere la strada interrotta e di dare al teatro musicale nuove, più alte testimonianze della sua arte. Fu un sogno popolato di incubi, a cui l’aggravamento della malattia nervosa ormai lo condannava, e di confuse aspirazioni alla purezza. Per tragica ironia, morì per la malattia più volgare che potesse colpirlo, un cancro al basso ventre, sentito quasi come una punizione divina: era l’11gennaio 1801. Di quel secolo del quale aveva intuito i cambiamenti e le possibilità di rinnovamento nel campo teatrale, fece in tempo a percorrere solo un breve, vuoto tratto. Sulla sua morte improvvisa corsero voci di avvelenamenti e addirittura di sicari strangolatori giunti appositamente da Napoli per punire il non dimenticato oltraggio di un suo figlio illustre. Ma si trattava solo di illazioni, che non fecero neppure in tempo a diventare leggenda. Dopo i solenni funerali tributatigli a Venezia, su Cimarosa calò presto il sipario, per riaprirsi di quando in quando sulle gemme della sua produzione, soprattutto sul Matrimonio segreto.
Esponente di un mondo e di una sensibilità teatrale che già nel primo Ottocento, col ciclone Rossini, parvero irrimediabilmente antiquati, Cimarosa è un compositore più complesso di quanto si possa pensare. La sua cultura non era affatto quella di un musicista dozzinale, come dimostra il costante interesse per la musica strumentale, la padronanza della tecnica e la finezza delle sue trovate. L’invenzione sgorgava in lui copiosa con una freschezza e un brio immediatamente travolgenti: forse per noi oggi anche troppo diretta ed elementare, tanto da apparire superficiale se non venga riferita al gusto originale. Nella sua non lunghissima vita, a cui corrispose una fortissima e densissima produzione ancora oggi in gran parte da ricostruire nella dispersione delle fonti. Cimarosa fece in tempo a celebrare i fasti dell’opera napoletana, diventandone soprattutto nel genere buffo un rappresentante autorevolmente riconosciuto, e a prefigurare i nuovi indirizzi del teatro musicale europeo, più liberi e mediati. Il durevole successo del Matrimonio segreto, che non a caso vide la luce a Vienna, si basa proprio sul miracoloso equilibrio fra grazia e misura, fra vena lirica ed eleganza nel dipingere le situazioni drammatiche, i caratteri umani. Che sono e rimangono tipi, ma di una vitalità che supera le convenzioni e gli schemi consueti del meccanismo teatrale. Spesso la comicità delle sue opere, popolate di pettegole, zitelle e vecchi barbogi, inesauribili nell’inventare imbrogli ed equivoci, cela nell’intimo una malinconia soffusa e sottintende delicate, sottili inquietudini. Nel dipanare le trame dei suoi intrighi, Cimarosa non perde mai il controllo, anche nei momenti più caricati, e tende a rendere fluido il racconto, amabile la morale: ben sapendo che tutto è finzione nel sublime gioco del teatro.
Fabio Neri / Orchestra dei giovani del Conservatorio “”Claudio Monteverdi”” di Bolzano
Bolzano Estate, Laboratorio lirico, omaggio dei giovani musicisti di Bolzano ai giovani musicisti della Gustav Mahler-Jugendorchester