Dall’orchestra alla penna con tanti ricordi

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<< La “bacchetta” e la penna parrebbero due oggetti senza reciproco contatto. E invece non è così. Si ritengono in genere scarse le pratiche di scrittura dei “direttori” d’orchestra. Mentre quando ci si mewtta ad elencare i nomi, il numero è maggiore di quanto potesse risultare ad una meoria approssimativa>>. Ecco, da Gianandrea Gavazzeni che scrive su Furtwaengler saggista, lo spunto per una recensione al suo ultimo libro autobiografico, La bacchetta spezzata.(Di Gavazzeni Studio Tesi ha da poco ristampato Quaderno del musicista). Ancora sua, puntuale, l’esplicitazione della chiave di lettura: <<Scritti limitati agli addetti ai lavori, se di natura tecnica. In grado, d’altra parte, di essere recepiti da larghe categorie di lettori, quando riguardino esperienze culturali che superino il solco professionale>>. A questa seconda categoria appartiene interamente il libro di Gavazzeni; come si addice a un artista che pur avendo combattuto in prima fila le più ardue battaglie della pratica esecutiva (e soprattutto nel più “impuro” dei mondi, quello del melodramma) a pensare in grande alla musica non ha mai rinunciato, forte di un bagaglio culturale e di una sensibilità che lo costringevano, con pungenza e acribia, a interrogarsi sul senso delle proprie scelte e sul valore delle esperienze, allargandone il raggio: a deporre momentaneamente la bacchetta per prenderne in mano la penna e raccontarsi, riflettere, non solo sui sucessi di una straordinaria carriera artistica, ma anche su ciò che avrebbe dovuto accadere, e non accadde.

Libro autobiografico, s’è detto; su cui Gavazzeni, capricciosamente e con un apunta di amara civetteria, vorrebbe dare il tono dell’ultimo tratto: quello che precede il momento in cui la bacchetta tante volte impugnata, simbolo della vita più che del comando, si spezzerà per sempre, e <<scatterà la chiusura>>. Ma non è così. Avvezzo a pensare in grande, con passione e fantasia, Gavazzeni non dà agli elementi autobiografici che il significato di una finestra aperta sul mondo della vita, e dell’interpretazione: metafora dell’inarrestabile fuggire in avanti del fenomeno musicale>> e, con esso, del tempo, a cui l’uomo si oppone cercando di fissare, e di ricordare, principi fondamentali e scelte di fedeltà. A ciò servono le memorie, che richiamano alla luce le care ombre dei defunti, dei grandi come dei meno grandi, maeetri di formazione. o compagni di strade di un tempo e gli autori.

Tutti insieme testimoniano i mutamenti delle epoche, nella funzione del direttore d’orchestra come nel costume rinnovano la profondità mai colma del contatto con la musica, dello studio delle partiture,  delle avventure interpretative, rivelando dubbi e inadeguatezze, ma anche crescite e certezze. Per raccontare ciò, e renderlo meravigliosamente vivo, come fa Gavazzeni, l’ultimo tratto è escluso. E ancor più la tentazione del mero autobiografismo.

Si crederebbe, nell’osservare la struttura del libro, che Gavazzeni abbia  adottato lo schema partitivo di un melodramma romantico; quattro parti articolate in scene distinte, ciascuna individuata anche nell’intestazione: Tre maestri la prima; Verdi, Puccini, Wagner la seconda, Memorie mie la terza, Ricordi d’altri la quarta.

Come dire il Prologo, la Vicenda, la Peripezia, l’Epilogo. Ma più ancora piace pensare al filo ininterrotto, intessuto di temi e di sviluppi, di digressioni, sospensioni e ritorni ciclici, e tutto nell’ambio di, un lingaggio bastante a se stesso, di una Sinfonia: magari oscillante, stanti le predilezioni di Gavazzeni al dl fuori dell opera, tra la luminosa chiarezza di Mozart e la fluviale eloquenza di Bruckner. Se così fosse, si spiegherebbe l’unità organica e la proporzione d’insieme di saggi scritti in tempi e circostanze diversi, con prospettive e perfino umori variabili; ora tesi a ricostruire «una propria storia affondata nel pozzo del Passato», ora invece pronti a seguire, con illuminanti analisi, «un lungo percorso sempre sperimentatore»,.. , affacciato sull’Ignoto, e dunque incessantemente sfuggente, revocabile, perfettibile.

I saggi della seconda parte, che spaziano dal primo Verdi all’ultimo Puccini abbraaciando Wagner sono il perno del volume. I temi si definiscono incarnandosi in problemi interpretativi, opere, forme, personaggi, situazioni; per sfociare, poi, dialetticamente, nelle memorie private, quasi a contrassegnare l’altra parte della maturazione personale dell’autore. Qui lo stile di Gavazzeni sfumala plasticità dei temi per inclinare verso una “timbricità” più spiccata.

I capitoli estremi, simmetrici, sono ritratti di interpreti che Gavazzeni ha caridi amici perduti ma non dimenticati.  Premessa e conclusione insieme, essi costituiscono 1a conferma che anche nel mutare delle mode e delle convenienze,  i punti fermti esistono, indicatori di retta via di sentimenti, nella vita come nell’arte. Nell’attimo solenne del congedo

saranno quelle presenze a riempire di suoni il crepitio secco di un legno che viene spezzato, A quel gesto futuro (la «bacchetta spezzata» del titolo) Gavazzeni dà un senso di mistero. E’ il mistero di sempre, che egli ci invita a cogliere, perché appartiene a ciascuno di noi.

Gianandrea Gavazzeni, La bacchetta spezzata, Nistri-Lischi,  pp. 234, lire 25.000.

da “”Il Giornale””

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