Un buon concerto per la chiusura del Maggio musicale fiorentino
Firenze – E in coda al Maggio un buon concerto, finalmente: ciò che una volta era solo normale abitudine. Un solista di prestigio non solo impegnato a dimostrare la sua bravura, ma anche disposto a mettere da parte certezze acquisite e a cercare nuove motivazioni in un pezzo a cui, fin dall’inizio della sua carriera, è stato legato a filo doppio (Maurizio Pollini e il Primo Concerto in Mi minore di Chopin). E poi un direttore finora molto deludente e approssimativo, Zubin Mehta, che tra una recita e l’altra di un Verdi e di un Mozart (son dieci giorni consecutivi che li snocciola a sere alterne: troppa quantità e poca qualità) ritrova il guizzo di tempi lontani e si ricorda che dirigere significa anche fare musica, o almeno provarci. Il tutto con scelte anche discutibili nell’accostamento del programma, e con risultati non sempre smaglianti nella tenuta dell’orchestra: ma finalmente vivi e non anonimi.
Fin dall’introduzione orchestrale del Concerto di Chopin Mehta si è mostrato ispirato, insieme leggero e intenso; anche se portato a sottolineare un’estroversione indifferenziata che l’attacco di Pollini, con repentina rettifica, smorzava e indirizzava verso un versante piú intimo ed elegiaco. Sarà un po’ la cifra di tutta la sua interpretazione, condotta con fraseggio liberissimo, governata da un controllo tecnico-stilistico assoluto: volta a recuperare il senso di una tenerezza che un tempo si definiva sentimentale e che con Pollini diviene tensione espressiva riflessa, via via accresciuta dalla limpidezza della sonorità e semmai impreziosita dal risalto di significative dissonanze, di giri armonici avvolgenti o devianti. Non esiste in questo modo di suonare Chopin un percorso a senso unico, ma piuttosto una costellazione di proposte contrastanti che si addensano in slanci trattenuti e non escludono la grazia di sospensioni poetiche, la pura effusione di melodie cantate con semplicità, l’eleganza di ritmi danzanti. Uno Chopin con molti interrogativi riaperti, mai inutilmente dimostrativo: neppure nell’esecuzione del bis celeberrimo, scelto quasi come una sfida a convenzioni arcinote (il Notturno in Re bemolle maggiore op.27 n. 2).
Nella seconda parte Mehta affrontava la Quinta Sinfonia di Mahler, e c’era da temere il peggio. Invece è entrato nella musica con discrezione, senza enfasi retorica e soprattutto senza lasciarsi andare al mero intento di far colpo. Era quasi sorprendente che la partitura si dipanasse nelle sue contraddizioni senza infingimenti, con tutto quanto vi è di banale e di sofferto, di velleitario e di sconnesso in quel tragico ruotare a vuoto attorno a centri perduti e angosciosamente ricercati, solo per essere poi di nuovo abbandonati. La sobrietà dell’Adagietto era esemplare, a riprova che nella rarefazione e nella riduzione va cercata la sua ragion d’essere. Valli un po’ a capire questi direttori: capaci di ritrovare emozioni e verità nel turbine di queste evocazioni spettrali, e di non sospettarle neppure là dove Mozart le dispensa a piene mani, con genuino incanto.
Zubin Mehta e l’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino eseguono musiche di Chopin e Mahler. Replica stasera
da “”Il Giornale””