Qualche dissenso a Firenze per la Gasdia diretta da Gavazzeni
Firenze – La sonnambula è un ‘opera notoriamente difficile da realizzare. Difficile nella sua semplicità, nella sua purezza di linee e di colori, che fissano un attimo fuggente nella storia del melodramma ottocentesco: l’illusione dei sentimenti e la delicatezza dell’idillio in un romanticismo di sogno, quale fu quello immaginato da Bellini per essere trasportato nel canto. Opera di canto, dunque, legata appunto a interpreti mitici di un passato lontano e recente; nella quale l’esilità della trama e delle situazioni drammatiche è talmente spinta all’estremo da sembrare una sfida alle convenzioni stesse del teatro, e alle capacità di trasfigurazione della musica. Ma opera che nello stesso tempo richiede una definizione musicale e scenica di respiro particolare, giocata tutta sulle finezze e sulle sfumature: perché si generi l’incanto di un clima poetico ricreato con sensibilità e consapevolezza al direttore spetta anzitutto il compito di sostenere il fragile tessuto connettivo fra i momenti lirici, in modo da avvolgerli nella magia dell’emozione, esalando il profumo dell’illusione.
Vero punto di forza, e non da oggi, di operazioni rischiose, Gianandrea Gavazzeni è riuscito a garantire la resa della partitura e trasmetterne i valori nel modo più completo. Senza trascurare le sospensioni di cauto immacolato nei vertici di contemplazione lirica, Gavazzeni ha impresso alla rappresentazione un ritmo energico, quasi volesse puntare a legare i singoli momenti in un arco drammatico di passione bruciante. ininterrotta. Se ne è avvantaggiata la tensione dell’insieme, sprigionando l’energia dinamica contenuta perfino nella staticità delle forme chiuse in se stesse.
A Firenze. ormai si sa, la stagione lirica deve forzatamente fare i conti con il disagio di un luogo, il teatro Verdi, poco attrezzato per gli spettacoli d’opera d’alto livello. Le scene e i costumi originariamente bellissimi di Mauro Pagano, di un allestimento della Scala del 1986, sono stati penalizzati dalla compressione in spazi inadatti. Pagano aveva immaginato una cornice ideale, di ariosa apertura su paesaggi naturalistici ispirati alla pittura del tempo, per l’idillio paesano in cui si svolge la vicenda di Amina; dando alla scena del sonnambulismo, in cui l’opera culmina e si compie, un tocco metafisico, di lontananza e astratta solitudine, arcanamente poetico. Saltati i rapporti in queste diverse condizioni, anche la regia di Carlo Maestrini non poteva far altro che disciplinare i movimenti nel modo più opportuno e razionale, senza cercare avventure.
Per quanto indisposta, Cecilia Gasdia ha retto complessivamente bene a una parte che forse le si addiceva di più qualche anno fa. Piuttosto nervosa all’inizio, ha avuto un brutto incidente nel concertato finale del primo atto, ma si è ripresa bene nel secondo, giungendo al momento topico dell’ultima scena con forze ancora fresche: la sua Amina riesce ancora convincente sul versante lirico, della frase ampia e cantabile, a cui sa infondere, in virtù di un’intelligenza molto musicale, i giusti accenti e palpiti, e la necessaria dose di tenuta drammatica; ma nei passaggi di alto virtuosismo, che di questo ruolo sono l’altra faccia non mena importante, si trova sovente in difficoltà, e deve sopperire alle agilità con il temperamento. Chi affronta le asperità del suo ruolo con naturala è invece il tenore Frank Lopardo, un Elvino non affascinante per speciale bellezza di voce ma duttile e sensibile, e del tutto credibile anche scenicamente. Nella parte del conte Rodolfo, Carlo Colombara, un basso di ragguardevoli mezzi vocali e di sicuro controllo stilistico, ha bene impressionato; anche se nella celebre aria del primo atto ha curiosamente soppresso una cadenza che vi è prevista. Fra le sorprese più piacevoli di un cast completato da Giorgio Giorgetti e Augusto Frati vanno segnalate la prova di spicco di Paola Romanò e quella molto brillante di Michiè Nakamaru (Lisa), dotata di una tecnica notevolissima e molto espressiva.
Al suo primo impatto con la «buca» infelicissima del Verdi l’orchestra del Maggio ha suonato con la consueta sicurezza, distinguendosi per la proprietà dei colori e la compattezza dell’insieme; leggermente più in difficoltà il coro, istruito dal suo nuovo maestro Vittorio Sicuri. La cronaca della serata registra una foltissima partecipazione di pubblico, particolarmente caloroso con Gavazzeni e ben disposto alla fine verso i cantanti, salvo qualche dissenso per la Gasdia.
“La sonnambula” di Vincenzo Bellini al Teatro Verdi di Firenze (repliche domani, il 9, 12, 14 e 17 febbraio)
da “”Il Giornale””