Bolzano – Davvero non sembra che questa edizione del «Busoni» – la quarantaduesima, per l’esattezza – sia da annoverare tra le migliori. I concorsi, si sa, sono un po’ come i vini: molto dipende dall’annata, e da fattori spesso imponderabili. Sotto questo aspetto Bolzano visse un momento magico nel 1987, quando ebbe la fortuna e il merito di scoprire un talento formidabile, quello della russa Lilia Zilberstain, pianista comunque destinata a una sicura carriera. Poi fu il grigiore o quasi. Scosso soltanto, l’anno scorso, dalle variazioni e fuga di Piero Rattalino sul nome di Kamenz: episodio tutto sommato marginale, che denunciava semmai istituzionalmente un certo disagio in seno alla giuria sui criteri di valutazione (Rattalino abbandonò il suo posto per protesta contro l’esclusione di Kamenz dalla finalissima).
Già, la giuria. Anche quest’anno, tra il pubblico, si è mugugnato molto sulle sue scelte. Qualcuno è arrivato addirittura a parlare apertamente di scandalo, a proposito dell’eliminazione sistematica dei candidati inclini a una maggiore libertà e freschezza di proposte interpretative, come, in particolare, i russi. Lev Vinocour, per esempio, aveva assai bene impressionato nelle finali solistiche, ma non era stato ammesso a quelle con orchestra. Vi era approdata invece la Nadeshda Kibardina, artefice di una smagliante esecuzione del Quarto Concerto di Beethoven che la proponeva autorevolmente per un premio. E invece era stata esclusa dalla finalissima, al pari dei due concorrenti italiani, Corrado Rollero e Giampaolo Stuani, scioltisi come neve al sole dei Concerti di Mozart. Restavano dunque, a contendersi l’alloro, l’immancabile giapponese dalle mani d’acciaio e una coreana del sud impeccabilmente istruita, ma brancolante nel vuoto; oltre a un estroso francese, dei tre senza dubbio il più interessante, e bizzarro, nel Concerto in re minore K. 466 di Mozart. Appariva dunque già chiara l’intenzione della giuria: andare sul sicuro, per paura di sbagliare.
La doppia prova conclusiva con l’orchestra, che impegna i finalisti prima in un Concerto «classico» e poi, ridotti da sei a tre, in uno «romantico», è un privilegio del Concorso Busoni, reso possibile dalla presenza in sede dell’Orchestra Haydn (quest’anno diretta da Edgar Seipenbusch). Questa
Ne risulta quasi una specie di sfida, avvicente ma artisticamente incompleta. Ciò che è il punto di arrivo di quindici giorni di concentrazione e di tensione finisce così per diventare un’ansiosa corsa a ostacoli, da cui è arduo trarre un giudizio definitivo.
La riprova si è avuta, nell’ultima serata, puntualmente. L’irruente giapponese Midori Nohara si è gettata come un belva sulla preda, il Concerto n. 1 in mi bemolle maggiore di Liszt, sciorinando una tecnica superba e un’altrettanto marcata disabitudine (o immaturità) a mettere la tecnica al servizio delle idee e dello stile: ne è uscita la classica prestazione da finale di concorso, del genere povera ma bella. Assai più in alto – di intenzioni e di fatto – volava il francese Olivier Cazal, bel talento e bel tipo, ostentatamente sicuro di sé ma anche attraentemente inquieto, elegante e ironico la sua parte. Affrontava il Concerto n. 3 in do maggiore di Prokofiev, che pur non essendo un capolavoro è un pezzo di musica sostanzioso, ricchissimo di umori e di slanci graffianti, solo che nella sua scompaginata irruenza è quanto di meno busoniano si possa immaginare, e dunque mal si presta a mettere in risalto le qualità di un pianista che al nome di Busoni s’ispiri e quel nome, poi, debba portare con sé (giacché ci pare che in fondo questo debba essere lo scopo di un Concorso Internazionale intitolato a Busoni) . Cazal lo ha suonato con grande estro e brillantezza. Si capiva subito che, se vi fosse stato un vincitore, quello sarebbe stato lui. Dalla coreana Hieyon Choi, dopo il Mozart scolastico e lezioso della prima finale, ci si poteva attendere tutt’al più un’esecuzione corretta e convenzionale dell’immancabile e qui detestabile Concerto in si bemolle minore di Ciaikovskij. Come di fatto è stato. Per arrivare fin lì, il suo merito maggiore pareva quello di avere in giuria il proprio maestro, tale Klaus Hellwig, non celeberrimo.
Alla fine, dopo un’ora di discussione, è stata comunicata la decisione della giuria: per il terzo anno consecutivo il primo premio del «Busoni» non veniva assegnato. La classifica risultò di conseguenza così composta: secondo Cazal, terza Nohara, quarta Choi, quinto e sesto rispettivamente gli italiani Stuani e Rollero, solo settima la russa. Una decisione tutto sommato saggia, applaudita dal pubblico, oltre che giusta. A che scopo illudere dei bravi ragazzi in un mondo musicale che già scoppia di ottimi pianisti mezzo disoccupati? Ma forse qualcosa al «Busoni» va rivisto. La formula annuale non regge più. I programmi sono palesemente invecchiati. E anche la partecipazione della Orchestra Haydn, quest’anno, è scesa sotto i livelli di guardia.
Concorso pianistico internazionale «Ferruccio Busoni», al Conservatorio di Bolzano (stasera il concerto dei premiati).
da “”Il Giornale””