Dimissioni nelle regia e primo premio non assegnato
Litigi e compromessi nella nostra maggiore competizione pianistica. Secondo lo jugoslavo Madzar, terzo l’italiano Cipolletta
Bolzano – Che pasticcio. Aveva cominciato Piero Rattalino dimettendosi dalla giuria per protesta contro l’esclusione dalla finalissima con orchestra di un candidato a lui specialmente caro, Igor Kamenz. Ha proseguito la giuria stessa, decidendo a maggioranza di non assegnare il primo premio ma di conferire il secondo «con speciale distinzione» allo jugoslavo Aleksander Madzar.
Terzi, ex aequo, l’italiano Francesco Cipolletta e il sovietico Valery Grohovsky. E’ finita così, tra il disappunto di un pubblico rimasto stoicamente ad attendere il verdetto fino all’una di notte, la quarantunesima edizione del Concorso pianistico internazionale Ferruccio Busoni di Bolzano.
Una decisione che non convince e che sa di compromesso lontano un miglio. Non si capisce bene perché non ci sia stato un vincitore e in che cosa un secondo premio «con speciale distinzione» si differenzi da un primo premio. Ma è probabile che sulle scelte della giuria abbia pesato l’uscita polemica di Rattalino, che ha messo sotto accusa i criteri di valutazione del concorso in nome di una linea culturale collegata idealmente alla figura e all’opera di Busoni; il quale, in molti passi della sua estetica, rivendicava a se stesso e all’interprete in generale la massima libertà artistica anche in fatto di esecuzioni, giungendo ad affermare che tutto, in musica, è ricreazione; e che dunque anche la riproduzione di un pezzo è una trascrizione. Evidentemente su questo punto c’è stata battaglia. Ma Rattalino e quanti la pensano come lui dimenticano quanto Busoni stesso precisa a nei suoi ultimi anni proprio a questo proposito: «Per libertà della forma non ho mai inteso mancanza di forma, per unità tonale non ho mai inteso un’armonia a vanvera, illogica e senza meta, per diritto dell’individualità non ho inteso la manifestazione impertinente di qualsiasi scalzacane».
E’ giusto, anzi importante, che un concorso a lui intitolato affronti la sostanza di queste affermazioni anche in rapporto alle valutazioni dei candidati. Ma allora andrebbe chiarito fin dall’inizio che cosa si richieda da un pianista per meritare di vincere il Busoni: tecnica solida, cervello, cultura, fantasia o soltanto originalità? E in che misura, poi? In quali musiche? Altrimenti si rischia, come è avvenuto quest’anno, di rimanere impigliati in contraddizioni che non hanno altra via di uscita se non il compromesso: di tutte le vie, senz’altro quella meno busoniana.
Assai più di Kamenz (comunque gratificato di un quarto premio all’unanimità), il concorrente jugoslavo ha mostrato di possedere anche doti di fantasia e originalità. La sua esecuzione della Sonata in si bemolle maggiore di Schubert nella finale solistica è stata superba, intensamente poetica; e limpida, coraggiosa la scelta di affrontare nella prima prova finale con l’orchestra il Concerto K 488 di Mozart, autore come nessuno caro a Busoni.
Certo, Madzar non è ancora un pianista maturo in ogni aspetto della tecnica, ha solo vent’anni e proviene da un Paese non certo ricco di tradizioni e di opportunità musicali. Non assegnandogli il primo premio (che avrebbe significato fra l’altro la possibilità di suonare in una sessantina di concerti e quindi di progredire con l’esperienza), e riconoscendogli invece soltanto una «speciale distinzione», il Busoni ha scelto la via più prudente, non quella più coraggiosa.
Nettamente inferiori a lui, per quanto degni della finale di un concorso internazionale prestigioso come il Busoni, tanto il sovietico Grohovsky quanto l’italiano Cipolletta. Grohovsky ha confermato pregi e difetti di una scuola, quella russa, oggi in crisi di identità e troppo chiusa in se stessa; e per uno di quei misteri insondabili di questa scuola si è sciolto soprattutto negli ineffabili arabeschi di Schulz-Evler sul Bel Danubio Blu di Strauss. Quanto al nostro Cipolletta, da ultimo si è un po’ perso nelle sabbie mobili del Secondo Concerto di Rachmaninov, pezzo che peraltro mai dovrebbe essere ammesso al Busoni. Cipolletta tende a proporsi come piani-sta dal gesto monumentale e quindi non sempre misurato nel gusto: ma ha mani con le quali può fare tutto, o quasi, quello che vuole.
La novità introdotta quest’anno di una doppia prova finale con l’orchestra ha messo a dura prova la resistenza non solo dei concorrenti ma anche della «Haydn», che da sempre collabora al Busoni: va dato atto a Karl Martin di averla diretta con grande efficienza. Ma se questa novità dovesse stabilizzarsi, forse non sarebbe male rifarsi anche qui a Busoni, per esempio nella scelta dei Concerti, e avere magari il coraggio di mettere definitivamente da parte Ciaikovski. Chi ha scagliato il sasso, non dovrebbe ritirare la mano. Nell’interesse della chiarezza, per la crescita di un concorso davvero speciale e di obiettiva importanza.
da “”Il Giornale””