Bolzano: la Nona Sinfonia di Mahler

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Eravamo in parecchi, di Musica viva, ad ascoltare la Nona sinfonia di Mahler diretta da Abbado nel Duomo di Bolzano. Già sulla carta il viaggio era uno di quelli da non mancare: il primo concerto della tournée estiva dell’Ecyo e l’ultimo impegno ufficiale di Claudio Abbado in Italia con la più problematica e intensa fra le partiture di Mahler, che oltretutto egli affrontava per la prima volta. Curiosamente, però, l’evento è passato sotto silenzio nelle cronache di questa estate intasata di musica: nessun quotidiano d’importanza nazionale, a parte La Repubblica con il nostro Foletto, se n’è occupato con l’attenzione che esso meritava. Chissà, forse Abbado, ora che ha voltato le spalle al nostro paese per iniziare la sua avventura viennese, non fa più notizia come prima o come quando dirigeva alla Scala; e certo può essere perfino imbarazzante per molti, capitali della cultura comprese, riscontrare come una piccola città quale è Bolzano sia in grado, e non da oggi, di far fronte in modo perfetto ed esemplare alla messa a punto di una macchina così complessa come è l’Orchestra giovanile della comunità europea, ospitandone l’intera preparazione e ricevendone in cambio non solo tanta simpatia ma anche concreti attestati di merito.

Il concerto in Duomo, amplificato all’esterno e reso visibile su uno schermo gigante a più di cinquemila persone, è stato lo splendido suggello di una settimana elettrizzata dalla presenza di Abbado e dalla incredibile vitalità dei giovani musicisti, che hanno fatto risuonare di musica ogni via e piazza di Bolzano. C’è da dire anzitutto della qualità raggiunta dall’orchestra, mai apparsa così alta e omogenea come quest’anno, e del rapporto stupendo stabilitosi non soltanto con Abbado, che l’ha creata otto anni fa e che l’ha via via arricchita di nuove presenze (quest’anno erano ospitati per la prima volta tre strumentisti dell’Europa orientale), ma anche con i musicisti che curano la preparazione delle singole sezioni, tutte prime parti di grandi orchestre.

Alcuni episodi possono dare l’idea del clima in cui si è svolto il lavoro in comune. Alla prima prova con Abbado, e a sua insaputa, i ragazzi dell’orchestra si erano scambiati le parti e gli strumenti, d’accordo con i loro maestri: ci sono volute venti battute perché Abbado, quasi incredulo, abbassasse la bacchetta e si accorgesse dello scherzo. Alla prova generale, il primo fagotto, di solito infallibile, per ben tre volte è entrato inopinatamente in contrattempo, proprio in un punto nel quale l’attacco di Abbado era inequivocabile: di fronte al nervosismo di lui, tutta l’orchestra al fischio prestabilito di un maestro arbitro improvvisato ha estratto un cartellino rosso, a mimare un’espulsione calcistica. E che dire poi della festa finale dopo il concerto, condita di esilaranti scenette musicali sui tic più tipici del direttore d’orchestra e sugli esibizionismi dei solisti, con in coda un balletto scollacciato anzichenò messo su dai più intraprendenti fra i ragazzi. Mai avevamo visto un Abbado così sciolto e sereno, capace di sorridere e di scherzare e forse anche, per una volta, di prendersi in giro, lui così serioso e impeccabile.

Sarà stato anche per il contrasto con questo clima di felice entusiasmo, fatto è che non ci era capitato ancora di ascoltare una esecuzione della Nona di Mahler, estremo canto di addio alla vita e al mondo, così vera e struggente, trasfigurata e commovente. Al lavoro di concertazione come sempre minuzioso e capillare, intento a scavare negli angoli più riposti della partitura senza mai accontentarsi – e con un’orchestra come questa è davvero possibile provare e riprovare ogni accento, ogni impasto –, Abbado ha unito un fervore di canto e di partecipazione emotiva di rara intensità, svelando di sé anche aspetti che talvolta rimangono compressi dalla sua implacabile rigorosità analitica. E bastato l’attacco dei primi violini dopo l’introduzione per capire che Abbado avrebbe impresso alla sua interpretazione un respiro profondamente dilatato, ma nello stesso tempo teso e istantaneamente espressivo. Il delicato equilibrio fra slanci di appassionata foga narrativa e ripiegamenti nei quali la musica di Mahler sembra franare in abissi senza fine, quasi sospendendosi in una funerea fissità, è stato colto da Abbado con esattezza assoluta fin dal primo movimento, condotto con flessibile scelta dei tempi e delle gradazioni timbriche fino alla decantazione del dolcissimo svanire della chiusa. Se nello Scherzo e nella Burlesca che costituiscono i due movimenti centrali della Sinfonia era lecito attendersi da Abbado una definizione di perentoria acutezza, resa ancora più brillante e spettacolare dalla spericolata immediatezza di certe uscite delle prime parti dell’orchestra, il grandioso Adagio finale ha mostrato che la attuale maturità di Abbado si fonda non solo sulla capacità di penetrazione intellettuale di una musica a lui sempre più congeniale ma anche su un calore e un abbandono spiccati e carichi di suggestioni. Attaccata a un tempo leggermente più rapido del consueto, la pagina conclusiva della Nona si è dipanata come un commiato pregno di nostalgie e di accorati rimpianti, ma anche luminoso e trasfigurante. La progressiva decelerazione che Abbado le ha impresso ha fatto risaltare l’estremo addio con una forza e un’emozione tanto più intense quanto più la musica, assottigliandosi, si spegneva nel nulla e nel silenzio. Con questa interpretazione Abbado ha toccato un vertice nella sua già importante camera di direttore mahleriano. Al primo colpo.


Musica Viva, n. 10 – anno X

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