Per quanto la sua produzione sia quantitativamente una delle più ricche del Novecento (anche in ambito orchestrale, dove si contano sei Sinfonie e numerosi Concerti per organici diversi), la musica di Martinu stenta a conquistarsi un posto al sole nel repertorio, non soltanto da noi. Cèco, anzi più esattamente boemo, educato dalla scuola di Josef Suk all’amore per il folclore della sua terra, Martinu ha assimilato in Francia, dove studiò con Roussel, modi e stilemi tipici della musica occidentale, subendo soprattutto l’influenza del vitalismo di Honegger e del neoclassicismo stravinskiano, assimilato con limpida freschezza. Nella sua musica, che sembra sgorgare con istintiva facilità, permane qualcosa di puro, di incorrotto, di non compromesso né dal decadentismo né dal radicalismo delle avanguardie: cosa che, se non conferisce alla sua opera tratti di particolare profondità, la sottrae al pericolo incombente dell’epigonismo, serbandole intatta una certa nonchalance e un pizzico di giovanile eclettismo, qualità che Martinu profuse fino agli anni estremi della sua lunga carriera.
Proprio agli ultimi anni della sua feconda attività appartiene questa Rapsodia-Concerto per viola e orchestra, in cui alla viola, strumento da lui molto amato (tratto che lo avvicina a Hindemith), Martinu dedica una delle composizioni più intense di tutta la letteratura per questo strumento, non disgiunta da momenti di alto virtuosismo. Essa risale al 1952, all’epoca del trasferimento negli Stati Uniti, dove Martinu trascorse gli anni della maturità prima di tornare in Europa nel ’53 (morirà in Svizzera nel ’59). E una pagina di grande mestiere e sicurezza di sé, che usa scopertamente il linguaggio tonale e non teme di apparire sorpassata inserendo una “”quasi cadenza”” in cui l’avverbio “”quasi”” è solo nel titolo: momento di libera e sincera espansione.
Fin dall’inizio, all’attacco del Moderato, si avverte una completa dimestichezza col contrappunto e una varietà di concatenazioni armoniche specialmente legata alla mutevolezza delle idee ritmiche e melodiche. L’entrata della viola solista corona una preparazione accorta e puntuale, e si sviluppa in un motivo cantabile che cerca il dialogo con l’orchestra rendendosi via via più agile ed espressivo. E un crescendo che trova il suo culmine nell’arioso fraseggio di viola e legni, mentre gli archi tessono una fitta trama di figurazioni cromatiche, e che a poco a poco si distende nel ritorno del clima iniziale.
I movimenti successivi si svolgono senza soluzione di continuità, con andamento veramente rapsodico. E’ possibile tuttavia riconoscerne l’articolazione in un tempo centrale, Molto adagio, di ingenua semplicità, e in un Allegro preceduto da un “”Poco Vivo”” pieno di nostalgie folcloristiche, evidenziate dalle ornamentazioni dei fiati, e dalla “”Quasi cadenza”” del solista, momento di massima espansione virtuosistica. Questo Allegro finale, a sua volta, sembra condurre a una frenetica conclusione danzante, ritmata dal tamburino, ma sorprendentemente la sospende col ritorno del tempo moderato, quasi facendo eco alle fasi precedenti per dare alla intera composizione una forma ciclica, nettamente affermativa e richiusa su se stessa. Così dando giustificazione formale al titolo, rapsodia e insieme concerto.
Christian Thielemann / Bruno Giuranna, Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Gestione autonoma dei concerti – Stagione sinfonica 1993-94