Bilancio assieme a Gatti

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Roma, il direttore alle prese con Beethoven e Schumann

L’Accademia nazionale di Santa Cecilia ha chiuso la sua stagione ufficiale con un concerto diretto da Daniele Gatti; affiancato, nel Triplo Concerto di Beethoven, dal pianista Andrea Lucchesini, dal violinista Giuliano Carmignola e dal violoncellista Mario Brunello. Una scelta inconsueta, degna di segnalazione: sono nomi di giovani musicisti tutti di scuola italiana, già affermati internazionalmente e di sicuro avvenire. Di Gatti si parla anzi come del possibile futuro direttore stabile o principale a Santa Cecilia, e scusate se è poco.

Ascoltandoli in quella che doveva essere una specie di prova ipotetica dell’investitura – l’ouverture Hermann und Dorothea e la Seconda Sinfonia di Schumann – si è avuta l’impressione che Gatti, cresciuto come direttore d’opera, giungesse più con l’istinto che con la necessaria esperienza in questo repertorio a superare, non sempre indenne, i trabocchetti del grande stile sinfonico, che in Schumann sono molteplici.

Tecnicamente, esibendo una gestualità lodevolmente personale, ha retto l’impalcatura della Sinfonia con sicurezza, salvo qualche piccola sbavatura negli attacchi, rendendone l’eloquenza in modo brillante: rischiando tuttavia per troppa foga di perdere i collegamenti della forma e di forzare eccessivamente le sonorità.

A Gatti per esempio sembra sfuggire il ruolo dell’Introduzione nell’economia della Sinfonia; sicché i ritorni ciclici del motto tematico risultavano un po’ accidentali, se non immotivati. Invece l’intenzione di non scadere nell’enfasi (in realtà un falso problema) rendeva un po’ contratto il caldo respiro dell’Adagio espressivo, nobilitato dalle uscite dell’oboe e del clarinetto, ottime prime parti di un’orchestra in generale assai ben disposta.

Nello stesso tempo la freschezza e la flessibilità con cui Gatti ha accompagnato i solisti nel Triplo di Beethoven, mettevano in luce qualità di prim’ordine. Molto equilibrata, davvero, l’intesa col violoncello estroso di Brunello e con il pianoforte nitido, musicalissimo di Lucchesini, e ben definito nel complesso il carattere di questo lavoro d’occasione non proprio originalissimo, ma amabile come pochi quando venga tolto dalla routine e preparato con cura. Se la serata doveva essere un festoso augurio per talenti che anche da noi nonostante tutto continuano a prodursi e a distinguersi, i risultati sono stati positivi: ma per favore non carichiamoli, Gatti per primo, di responsabilità ancora premature.

da “”Il Giornale””

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