L’enigma di Grimes
Peter Grimes, la prima opera lirica di Benjamin Britten, nacque grazie al sostegno di una commissione della Koussevitzky Music Foundation. Dopo aver eseguito a Boston la Sinfonia da Requiem, il direttore d’orchestra Serge Koussevítzky, mecenate della musica moderna e scopritore di talenti, aveva chiesto a Britten perché noi scrivesse per il teatro e si era offerto di finanziare l’impresa di una nuova opera da dedicare alla memoria di sua moglie Natalie, morta da poco tempo. Britten, che non aveva ancora trent’anni, e da tre viveva esule in America, era reduce dall’insuccesso dell operetta Paul Bunyan (su testo di W.H. Auden, rappresentata alla Columbia University di New York nel maggio 1941), ma era ben deciso a scrivere ancora per il teatro. La cospicua sovvenzione di mille dollari della Fondazione Koussevitzky veniva a liberarlo da quelle preoccupazioni economiche che un futuro ancora incerto, sia professionalmente che esistenzialmente, rendeva pressanti, soprattutto in rapporto a un progetto cosí vasto e impegnativo.
A quell’epoca (si era agli inizi del 1942) Britten aveva già concepito l’idea di un lavoro teatrale ispirato al poema The Borough (Il Borgo) dello scrittore inglese George Crabbe (1754-1832), e basato in particolare sulla storia del pescatore Peter Grimes. Durante l’estate del 1941, mentre si trovava a Escondido in California in compagnia dell’amico Peter Pears, Britten aveva letto sulla rivista della Bbc «The Listener» un articolo di E.M. Forster su Crabbe. Esso aveva risvegliato in lui la nostalgia del Suffolk, dov’era sempre vissuto, e riacceso il ricordo della costa selvaggia e impressionante attorno ad Aldeburgh, nella parte orientale dell’Inghilterra che si affaccia sul Mare del Nord: il luogo natale di Crabbe (Aldeborough, secondo la grafia dell’epoca) adombrato nel suo poema. Dalla successiva, diretta conoscenza di questo poema Britten trasse gli elementi per una propria rappresentazione teatrale di quel soggetto e di quello sfondo, sul quale la figura di Peter Grimes si stagliava con speciale forza drammatica.
Durante la navigazione che li riportava in patria, nella primavera del 1942, Britten e Pears lavorarono alacremente al piano dell’opera, stendendo numerosi abbozzi della sceneggiatura. Quando giunsero a Londra, l’intera trama del Peter Grimes era già formata e non restava altro da fare che trovare un librettista che scrivesse le parole. Dopo la rinuncia di Isherwood, che era rimasto in America, Britten chiese di occuparsene all’amico Montagu Slater, scrittore versatile e giornalista impegnato politicamente con il quale egli già in precedenza, negli anni Trenta, aveva collaborato nel cinema e nel teatro. Ebbe cosí inizio il lavoro di stesura del testo, che si presentò subito lungo e difficile per la ostinazione di Slater a seguire le proprie idee, invece di adattarsi a quelle del compositore: tanto da richiedere, fra discussioni preliminari, revisioni e correzioni, quasi diciotto mesi. Nel luglio 1944 Britten poté finalmente cominciare a comporre la musica, già preordinata nelle strutture fondamentali e nella forma, per terminarla in partitura nel febbraio 1945. Nel frattempo aveva stretto contatti con il teatro Sadler’s Wells di Londra, dove Pears era stato ingaggiato stabilmente e dove lavorava un giovane regista, Eric Crozier, particolarmente adatto a curare l’allestimento dell’opera, aiutando a risolverne anche alcuni problemi di drammaturgia. A lui e alla compagnia del Sadler’s Wells fu cosí affidata la prima esecuzione del Peter Grimes, che ebbe luogo, dopo un intenso numero di prove e notevoli rimaneggiamenti del testo, il 7 giugno 1945. L’enorme successo fece conoscere al mondo non soltanto il nome del compositore ma anche quello di un gruppo di interpreti che sarebbero poi rimasti saldamente legati alla sua attività artistica con 1’English Opera Group e il festival musicale di Aldeburgh: su tutti Peter Pears, primo creatore di un ruolo e di un modello con cui si sono confrontati alcuni dei piú grandi tenori del dopoguerra. Tutto ciò concorre a fare di quella data un evento capitale nella rinascita dell’opera nazionale inglese, che dai tempi di Purcell era pressoché scomparsa dalla storia e che ora, grazie a Britten, riscopriva se stessa, mantenendo vive per quasi trent’anni le sue tradizioni e la sua attualità.
I cambiamenti apportati da Britten e dai suoi collaboratori al poema di Crabbe sono profondi e radicali, assai piú di quanto potesse richiedere un semplice adattamento del testo per la scena. The Borough (uscito nel 1810) si compone di ventiquattro lettere fittizie in versi (distici rimati), che descrivono la vita e l’ambiente di una piccola città sulla costa del Suffolk: i pescatori e le loro famiglie, i poveri e i tutori dell’ordine (il concetto ‘Borough’ indica una comunità con una propria rappresentanza parlamentare), gli ospizi, l’ospedale, la prigione, la chiesa e i suoi vicari, gli alberghi e soprattutto i ‘pubs’; popolati, come Il Cinghiale tenuto da Zietta, da pescatori abbrutiti dalle condizioni della loro esistenza, notabili del luogo e avventori di passaggio. Alcool e gioco, oltre alla compagnia fugace di opache bellezze venute dalla campagna per soddisfare i piaceri dei clienti (familiarmente chiamate le ‘nipoti’), rappresentano l’unica risorsa per uscire dal grigiore quotidiano di una vita dura e spietata, fatta di regole rigide e di trasgre;sioni ipocritamente tollerate, a patto di non intaccare la rispet:abilità di facciata della comunità: fondata sul denaro e sulla dignità di un perbenismo meschino.
In altri termini, il Borgo di Crabbe è un ambiente chiuso e a suo modo violento, di piccola provincia, ritratto realisticamente nel suo paesaggio e nei suoi personaggi, che vivono sul mare e del mare. Ma il mare non è per Crabbe un orizzonte aperto, spalancato sull’ignoto, bensí un confine insuperabile che rende ancora piú soffocante, nelle abitudini quotidiane di una vita ripetitiva, immobile, scandita solo da maree, da tempeste e da battute di pesca pericolose, il piccolo mondo del Borgo. La visione, in gran parte autobi ,grafica, di questo sperduto lembo di costa inglese ha il tono di una condanna gelida, senza appello, che non lascia trasparire raggi d. speranza o di pietà. Il reverendo George Crabbe era uno di quei pastori protestanti ‘illuminati’ del Settecento per i quali la rappresentazione obiettiva, realistica anche se poetica, di una condizione esistenziale tangibile contava piú della critica sociale e della denuncia civile: e sotto questo aspetto il suo pessimismo accanito aveva assai poco di evangelico.
La storia di Peter Grimes, che occupa la Lettera ventidue (Il povero del Borgo – Peter Grimes), è in Crabbe l’apice di questa descrizione del Borgo. Essa si basa su un episodio autentico, accaduto ad Aldeburgh verso la metà del Settecento a un pescatore di nome Tom Brown. Costui, scacciato dalla comunità perché sospettato di aver provocato la morte di tre suoi apprendisti, era precipitato nella follia sino a lasciarsi morire. Anche lo sfondo in cui si svolge la vicenda è autentico; e lo è in particolare il dramma sociale, che di lí a poco sarebbe scoppiato in Inghilterra con la forza di un vero scandalo, dei ragazzi bastardi e orfani affidati all’assistenza pubblica e spediti, in cambio di pochi denari, nei luoghi piú lontani della costa per servire da mozzi nei battelli da pesca: costretti a vivere in balia dei loro compratori nelle condizioni piú vergognose e intollerabili.
Il Peter Grimes di Crabbe è il peggiore di questi padroni. Un uomo rozzo e brutale, ottuso, ubriacone e ladro, che già si è reso responsabile della morte di suo padre e che sevizia sadicamente gli apprendisti usciti dagli orfanotrofi di Londra. Non vi è dubbio che sia lui che li ha uccisi, uno dopo l’altro. Ma le loro anime si vendicano, apparendo come fantasmi al pescatore: e Grimes non ne regge il peso, sprofonda nella pazzia e viene annientato. Nessun barlume di coscienza o di pentimento giunge però a riscattare la sua scelleratezza: come scrive esplicitamente Crabbe, «la mente che viene qui mostrata non è toccata dalla pietà, non è punta dal rimorso, né emendata dalla vergogna» (prefazione a The Borough). Certo, egli è fin dall’inizio un emarginato, un relitto abbandonato a se stesso dalle ferree leggi del Borgo, che lo escludono non tanto per i suoi atti (che infatti sono pronte a scusare) quanto per il suo atteggiamento asociale, solitario e vendicativo. Pur essendone un prodotto, Grimes non si integra nell’ambiente del Borgo: si nasconde agli altri, abbassa la testa (v. 183 e sgg.), è triste e disperato, oppresso da un senso di noia agghiacciante, da cui cerca illusoriamente scampo (e sono i momenti piú belli e intensi del poema, vivificati dalla poesia) affondando la sua angoscia nella muta contemplazione del mare e dell’estuario.
Tutt’altra figura è quella che sta al centro dell’opera di Britten. Anzitutto, e soprattutto, per l’intervento della musica, ma solo in conseguenza di una mutata disposizione del dramma. Esso vive infatti di un contrasto duplice, intrecciato: da un lato di Grimes con se stesso (come consapevolezza dolorosa dell’isolamento e della solitudine e anelito a rompere le barriere dell’emarginazione), dall’altro di lui con l’ambiente e con i diversi personaggi del Borgo.
Nessuno di questi compare associato a Grimes nel poema di Crabbe. La maggior parte è però tolta da altre lettere di The Borough; per esempio il farmacista Ned è descritto nella Lettera sette (il nome di Ned Keene, il farmacista e guaritore dell’opera, viene da questo Ned e da Abel Keene, il ciarlatano della Lettera ventuno). Ellen Orford, l’istitutrice vedova, figura nella Lettera venti, ma non ha alcun rapporto con Grimes: Britten la trasforma profondamente, e ne fa una protagonista per lunghe parti dell’opera. Quanto al personaggio del capitano di lungo corso in pensione, Balstrode, i tratti di un’indulgenza benevola che gli sono propri sono accentuati in modo del tutto originale; e nell’opera egli ha un ruolo importante per rendere piú umano e mite l’ambiente del Borgo con la saggezza disincantata, comprensiva, un po’ cinica, dell’uomo di mare che molto ha viaggiato e provato.
Nelle intenzioni del librettista Slater, Peter Grimes doveva diventare una sorta di eroe byroniano, in conflitto col mondo circostante e portatore di valori individuali chiaramente positivi (fors’anche con qualche sfumatura politica, rivoluzionaria e sociale, dato che Slater era un comunista convinto). Per sottolineare questo aspetto egli spostò l’azione dalla fine del XVIII secolo, dove Crabbe l’aveva collocata con precisi riferimenti alla sua epoca, al 1830 circa, al momento cioè dell’apogeo del byronismo e della rivoluzione. Inserí anche, come personaggio muto, la figura del Dr. Crabbe, quasi a voler rendere l’autore testimone delle sue stesse volontà. Ma Britten non condivise affatto queste intenzioni; e ciò fu causa di aspre discussioni, che ritardarono la nascita del libretto e condussero poi alla fine dell’amicizia con Slater: egli dovette cedere su molti punti, ma pubblicò comunque la propria versione del Peter Grimes come testo indipendente dal libretto d’opera (in Peter Grimes and Other Poems, 1946).
Il motivo è chiaro e implica ragioni di natura non solo musicale ma anche drammatica. A Britten non interessava fare del suo personaggio un eroe d’opera di stampo tradizionale, a tutto tondo, bensí creare una figura piú complessa ed enigmatica posta al centro di un lavoro che avesse le caratteristiche di un’opera aperta, non dimostrativa. Quel che gli stava a cuore prima di tutto era l’universalità del soggetto: il quale, benché calato in una storia e in un ambiente precisi, potesse dare vita a un clima, a una atmosfera teatrale e musicale, e contenere un messaggio senza limitarsi né storicamente né geograficamente. Questa dimensione umana piú generale, universale appunto, era l’obiettivo a cui Britten tendeva con il suo lavoro.
Da questo punto di vista il personaggio di Grimes innesca una serie di reazioni sull’ambiente nel suo complesso e sui diversi tipi che lo incarnano; ma è nello stesso tempo il prodotto finale di queste reazioni. La musica, a sua volta, intersecandosi con il dramma, prima contribuisce a fissare gli elementi tematici della rappresentazione, definendo il clima e le situazioni; poi li sviluppa e li trasforma, rendendo le relazioni piú estese e pregne di significato: simile, per restare a una metafora consonante con l’opera, all’onda del mare che irrompe a riva e poi si ritira su se stessa, lasciando la sua traccia e subito dopo riassorbendola.
Questo compito spetta anzitutto ai sei interludi orchestrali intercalati fra una scena e l’altra di ognuno dei tre atti (il breve prologo iniziale introduce i personaggi principali e il motivo del sospetto che grava su Grimes). Sarà utile ricordare la loro collocazione nel contesto del dramma:
ATTO PRIMO
Interludio I Spiaggia, alba sul mare [Dawn]
Scena I Strada lungo il mare
Interludio II La tempesta [Storm]
Scena II Interno del pub Il Cinghiale
ATTO SECONDO
Interludio III La mattina di domenica sul mare, davanti alla chiesa [Sunday Morning]
Scena I Strada lungo il mare (come nell’atto primo)
Interludio IV La caccia a Grimes – Passacaglia
Scena II La capanna di Grimes
ATTO TERZO
Interludio V Chiaro di luna di una notte d’estate [Moonlight]
Scena I Davanti al Municipio (strada lungo il mare)
Interludio VI Nebbia che proviene dal mare
Scena II Spiaggia, alba sul mare (come all’inizio)
Questi interludi (i quattro che recano il titolo inglese furono pubblicati anche a parte: Four Sea Interludes op. 33a) sono assai piú che quadri naturalistici ed evocativi del paesaggio marino. Essi dipingono l’animo di Grimes nelle diverse situazioni e completano lo sviluppo dell’azione. Cosí, dopo che il primo interludio ha fornito il ritratto del protagonista sullo sfondo del mare in un’aurora calma e grigia, mentre il Borgo si ridesta alle sue occupazioni, la tempesta del secondo raffigura non soltanto lo scatenarsi della furia degli elementi ma anche la burrasca che si agita nel cuore di Grimes dopo l’animata discussione con Balstrode. E se il terzo e il quinto interludio posti ad apertura d’atto sono ancora momenti contemplativi, di tono impressionistico, che rispecchiano i pensieri di Grimes prolungandoli nelle scene che seguono (di modo che egli è presente anche quando, come qui, non appare), il quarto e il sesto si connettono strettamente all’azione, elaborandone la tematica. In particolare il quarto, la Passacaglia, approfondisce il tema dell’ossessione di Grimes dopo il diverbio nel quale egli ha colpito Ellen; su un basso ostinato, che simboleggia appunto questa ossessione, i temi si affrontano nelle variazioni con espressionistica veemenza: riflesso dell’animo esacerbato e inquieto del pescatore, mentre gli uomini del villaggio scatenano la caccia. La scena che segue, nella capanna di Grimes, porta a tragica conclusione queste premesse: nel momento in cui la processione del Borgo sta per raggiungerlo, Grimes spinge il mozzo sulla scogliera e costui precipita in mare. La folla non troverà altro che una capanna pulita e tranquilla, apparentemente in perfetto ordine. Nel sesto interludio, infine, la nebbia che sale dal mare allude all’ottenebrarsi della mente di Grimes ormai in preda alla disperazione e allo squilibrio: anche in questo caso elementi naturalistici e descrittivi rispecchiano, nella elaborazione sinfonica, il dramma che avviene nella coscienza del protagonista.
Si è detto che sul piano drammatico si assiste a un intreccio fra la vicenda individuale di Grimes e il suo contrasto con gli altri personaggi. Britten e Pears consideravano Grimes un idealista incompreso, un outsider perseguitato per la sua diversità. I motivi della sua solitudine e del suo isolamento sono tuttavia ambigui e permangono sfuggenti. Egli rappresenta fino a un certo punto la lotta dell’individuo contro la massa (che è qui la comunità del Borgo) e comprensibilmente vuole avere poco da spartire con il paternalismo cerimonioso dell’avvocato Swallow, con il moralismo ipocrita del metodista Boles, con la millanteria volgare del farmacista Keene: ma odia essere un reietto e vorrebbe far fortuna per sposare Ellen e conquistarsi un posto al sole nel Borgo. Perfino accettando le condizioni degli altri.
Tanto nel prologo dell’opera, nella scena dell’istruttoria, quanto prima della fine, allorché il Borgo si reca in processione alla capanna del pescatore, noi non sappiamo veramente se Grimes sia responsabile della morte dei suoi apprendisti e ne sconti perciò le conseguenze, o se invece abbia solo assistito impotente alla sciagura (neppure i suoi racconti, allucinati, che escono a brandelli, chiariscono questi fatti). Se gli altri diffidano di lui e lo incalzano, è perché lui stesso diffida di sé, prima ancora che degli altri, con cui vorrebbe comunicare. Le condizioni di vita nelle quali si è autorecluso, isolato nella sua capanna, in attesa di una pesca miracolosa, lo hanno reso duro, misantropo e sospettoso, ma non insensibile: anzi, hanno acuito la sua sensibilità, al punto che nessuno è piú in grado di comprenderlo. Grimes alza lo sguardo estatico alle stelle per cercare di decifrare il suo destino nel cielo che ruota, e non trova che confusione e dolore (atto primo, scena seconda); e ancor prima di morire (atto terzo, scena seconda), mentre le voci del Borgo lo perseguitano da lontano, si interroga invano su dove sia il «porto della pace» capace di accogliere terrori e tragedie, dove la notte diviene giorno. Ed è solo.
A differenza che in Crabbe, non tutto il Borgo fa fronte compatto contro di lui. Eppure Grimes non sa ricevere l’amore di Ellen, tanto disinteressato da sembrargli frutto di sola compassione; e benché sogni una vita felice con lei, le sue immagini hanno sempre e immediatamente il carattere del desiderio irrealizzabile, forse addirittura impensabile. La musica esprime ciò con eloquenza assai maggiore delle parole. Il tema di Grimes, per esempio, che circola per tutta l’opera, si apre con un salto ascendente di nona minore, cui segue un lento, progressivo e doloroso ritorno alla nota di partenza; su una scala in modo lidio, che accentua ancor piú un senso di distanza e di estraneità. Esso è il simbolo di un’ansia tremenda e insistente, ma sterile: come se i pensieri di Grimes, desiderando liberarsi (oltrepassare il chiuso di un’ottava con uno slancio energico, ma carico di affanno), ricadessero invece sempre interrogativamente su se stessi. Cosí pure nei duetti con Ellen, sin da quello che chiude il prologo, Britten articola il canto di Grimes in modo da rendere percepibile (per lo piú con una sfasatura armonica, o una doppia linea tonale) l’impossibilità di un’unione e di un dialogo reale fra stati d’animo diversi (nel caso del prologo, Peter canta in fa minore, Ellen in mi maggiore). Quando i due si ritrovano su un unisono (il cambio enarmonico di la bemolle in sol diesis trasporta Peter nella tonalità di Ellen, mentre l’orchestra tace sino alla fine del duetto), esso esprime solo vuoto e assenza: il corso dei pensieri e dei sentimenti di Peter va molto oltre il momentaneo, quasi velleitario aggancio della linea del canto.
Ellen, dunque, assisterà al progressivo delirio di Grimes nella vana speranza che egli possa scuotersi e trasformarsi. C’è in lei (ed è ciò che rende commovente l’ostinazione del suo personaggio) l’attesa fiduciosa di un miracolo, quasi che Grimes dovesse alla fine risvegliarsi dal suo incubo. Piú realisticamente, il capitano Balstrode intuisce che a quel delirio non c’è rimedio se non provocando un atto estremo di eutanasia: perciò lo aiuta a mettere in mare la barca per l’ultima volta e lo spinge al largo. Balstrode sa che non c’è altra soluzione per lui.
Visto nelle sue abitudini quotidiane e nei luoghi di ritrovo che arricchiscono l’azione dell’opera (il Municipio e la chiesa, la spiaggia, la via, la taverna di Zietta), il mondo variopinto del Borgo non ha coscienza di questo dramma: l’opera si apre e si chiude simmetricamente con lo stesso coro degli abitanti del Borgo che attendono alle loro consuete, tranquille occupazioni. Eppure si capisce che concorre a determinarlo e che a suo modo lo vive. Il Borgo teme Grimes e perciò lo respinge; ma nello stesso tempo il suo enigma lo attrae. Già all’inizio, nella scena dell’assemblea, la folla partecipa con curiosità alle fasi dell’istruttoria. Ogni atto di Grimes è per lei fonte di interesse: la coralità di cui l’opera è cosí ricca non costituisce solo un mezzo compositivo della massima importanza ed efficacia, ma contraddistingue anche un personaggio fondamentale dell’opera, il cui compito è far fronte in modo unitario e comune all’enigma di Peter Grimes, sino a tenderlo all’estremo. Ciò emerge con assoluta evidenza nella scena finale delle allucinazioni di Grimes, quando la folla grida con terribile insistenza il suo nome, a distanza: per dissolversi poi nella calma spettrale dell’epilogo, scomparendo a poco a poco.
Ma in che cosa consiste dunque l’enigma di Grimes? In Crabbe esso non era affatto tale. Là si descriveva il caso clinico di un disadattato, ribelle alle convenzioni, che per odio verso il padre e la società esercitava la violenza. Semmai, da questa manifestazione di un’alienazione psicologica culminata nella pazzia, Crabbe aveva tratto lo spunto per illustrare le condizioni di vita di un determinato ambiente e di una società imbalsamata nelle sue norme. Leggendo il poema, tuttavia, si ha l’impressione che piú di tutto gli interessasse descrivere minuziosamente il paesaggio della costa inglese e la natura attorno al Borgo, con una capacità rappresentativa non di rado illuminata dalla poesia. Non per nulla era stato questo sfondo ad attrarre Britten, e a giustificare, anche a posteriori, la scelta del soggetto.
Venuti a cadere quei motivi, il personaggio di Peter Grimes in Britten non si semplifica, ma piuttosto si complica. Torniamo a chiederci perché Grimes abbia scelto la solitudine e l’isolamento, da dove provenga la sua frustrazione, la sua impotenza; e in che senso Britten lo considerasse un personaggio universale, ben piú di un pazzo o di un rivoluzionario in potenza, o di una vittima della società. Il percorso dell’opera, che inizia già nel mezzo dell’azione, non aiuta a capire i precedenti: mancano del tutto le tracce di un conflitto con il padre, di un’educazione repressiva, di una tara ereditaria, di una predisposizione all’alcool; scarseggiano gli elementi per decidere di una latente omosessualità, secondo alcuni specchio, o schermo, di una proiezione autobiografica del legame fra Britten e Pears (un fremito guizza nella musica quando Grimes vede il nuovo mozzo recatogli da Ellen, e il Borgo non manca di ironizzare su di lui al riguardo; ma questo non è un indizio chiaro).
Pulsioni imperscrutabili, sommerse nel profondo, vengono alla superficie con forza scatenante nei monologhi di Grimes. Un canto franto, sconnesso, che si innalza per poi ricadere pesantemente, e di lí impennarsi di nuovo, e ricadere, è il simbolo supremo di questa incapacità di dare forma al proprio mondo interiore per comunicarlo all’esterno. Nella sua lotta per esprimersi, viene meno a Grimes il discorso compiuto, coerente, racchiuso nell’arco di frasi significanti, di ampio respiro: forse è proprio la parola, che esce a brandelli, per rivelazioni improvvise che non si inquadrano in un tutto armonico e proporzionato, a mancargli. Nello stesso tempo però questi spezzoni rivelano un mondo interiore, poetico, denso e profondo, in cui la lotta per venire alla luce decide del destino della vita. L’enigma di Grimes sta in questa lotta per tradurre in atto le proprie visioni senza piegarsi all’evidenza della realtà. E se la ricchezza di sentimenti e di aspirazioni lo rende personaggio toccante, ancorché sconfitto, il conflitto di cui è emblema assume il tono di un dramma universale, umano.
Nell’accettare le ragioni del sacrificio di Grimes, senza spiegarne il mistero in modo univoco, Britten era mosso da una concezione liberale della natura umana: non da pietà, ma dalla convinzione che niente rendesse l’individuo cosí spregevole da distruggerne l’innocenza e farne un emarginato. Forse, all’epoca in cui compose l’opera, egli intendeva anche identificare in lui la propria situazione di respinto dalla società in quanto obiettore di coscienza e omosessuale; ed è significativo allora che, musicando Peter Grimes alla vigilia del suo definitivo ritorno in patria (un atto di affermazione orgogliosa della propria diversità, quale al suo Grimes non era riuscito), avesse voluto ambientarlo nei luoghi dell’infanzia. Resta però il fatto che il tema dell’emarginazione di Grimes, con tutte le sue implicazioni (compresa quella del desiderio irrealizzato di mostrarsi utile alla comunità e di esserne accettato individualmente, nodo centrale nell’opera), conduce al fallimento perché si scontra, prima ancora che con il rifiuto altrui, con un intimo seni imento di vergogna e di colpa, tanto frustrante quanto doloroso. Peter Grimes è torturato da questo sentimento di inadeguatezza, sino alla paralisi. Forse, in quel frangente della sua vita, anche Britten stava provando qualcosa di simile. Componendo il Peter Grimes, egli non soltanto creò un capolavoro del teatro moderno ma allontanò da sé quello stato d’animo: riscattando, grazie all’intervento della musica, l’afasia di Grimes e conquistando attraverso di lui luce, coscienza di sé e diritto all’esistenza.
Non riuscí tuttavia a estirparlo del tutto. E allora lo accettò come una costante, serbandogli fedeltà e cercando, con la sua opera, di approfondirne la natura. Per ricomporlo e comunicarlo agli altri, trasfigurato dalla musica. I successivi drammi di Britten, sino alla conclusione di Death in Venice, ripropongono l’enigma e la lotta di Grimes: sotto nuove forme e con consapevolezza accresciuta.
Spiros Argiris / Orchestra e oro del Maggio Musicale Fiorentino
51° Maggio Musicale Fiorentino 1988