Béla Bartók
Sette danze popolari rumene
Danza col bastone
Girotondo
Sul posto
Danza del corno
Polca rumena
Passettino di Belényes
Passettino di Nyàgra
L’interesse di Bartók per la musica popolare è testimoniato sia dalle ricerche sistematiche sulle autentiche radici paesane del folclore magiaro e centro-orientale, sia dallo studio di questo patrimonio etnico, sia infine dalla rielaborazione e ricreazione di esso nella propria opera compositiva. In questo percorso ragioni ideali e pratiche, formali e linguistiche, si intrecciano strettamente e si completano a vicenda, portando comunque a un fertile arricchimento delle risorse vitali in campo musicale. Per quanto questo processo di acquisizione e di trasformazione avvenisse sullo sfondo di esigenze innovatrici non estranee a una precisa coscienza nazionale, è significativo che Bartók le intendesse anzitutto quale basi della propria opera creativa e proclamasse la volontà di servire umilmente l’ideale «della fraternità dei popoli, della loro fratellanza davanti e contro ogni guerra, ogni conflitto»; attirandosi per questo, e proprio in virtù di un atteggiamento che a noi oggi pare esemplare, le critiche e le incomprensioni di coloro a cui in primo luogo intendeva rivolgersi con lo studio e l’emancipazione della musica popolare indigena.
Una prova indiretta di questa visione aperta e non partigiana del problema della musica popolare si ha nel fatto che i primi tentativi in questo campo riguardassero i canti popolari rumeni e conducessero, subito dopo la raccolta e lo studio di numerose melodie del dipartimento di Bihar – l’una e l’altro pubblicati dall’Accademia rumena -, a una serie di lavori basati su quelle esperienze: esperienze, appunto, nelle quali i modelli delle strutture melodiche e ritmiche oggetto d’indagine si travasano in saggi compositivi fusi con il bagaglio della cultura tradizionale.
Aprendo naturalmente nuovi spazi e nuove possibilità soprattutto su questo secondo versante. La gradualità con cui il passaggio si compie è indicativa della personalità di Bartòk. Dapprima è il pianoforte, il mezzo a lui più congeniale, a incaricarsi di questa traduzione che è insieme trascrizione e ricomposizione: nel 1915, la Sonatina su melodie popolari rumene, le Sette danze popolari rumene, i Canti natalizi rumeni; indi, o contemporaneamente, il coro coi Due canti popolari rumeni, cui si affiancano i Nove canti rumeni per canto e pianoforte. La versione per orchestra delle Sette danze popolari rumene, del 1917, costituisce il compimento di questa fase e l’inizio di più estese relazioni fra la tradizione popolare e la personale appropriazione di essa da parte del compositore moderno.
Semplificando, si può dire che l’analisi e la fissazione delle strutture intrinseche dei modelli melodici desunti dalla ricerca porta adesso al tentativo di ricostruire per mezzo dell’orchestra il suono e i colori dell’espressione popolare: a un intento conoscitivo ne subentra dunque uno artistico. Onde evitare scarti troppo bruschi e un innalzamento improprio del tono originale, il quale peraltro non avrebbe potuto essere reso adeguatamente ricorrendo arcaicamente a mezzi primitivi – ecco in sostanza il senso dell’operazione lucidissima di Bartòk – il compositore sceglie un organico ridotto, riprendendo l’esempio dell’orchestrina di paese, una piccola orchestra cioè formata da due flauti, due clarinetti, due fagotti, due corni e archi. Proprio in conseguenza dei mezzi limitati, la ricerca timbrica diviene così preminente oscillando fra i due poli opposti della ricostruzione di un paesaggio sonoro anch’esso presumibilmente popolare e della modernità che aggiunge tratti e figure inediti a quel paesaggio, senza però tradirne lo spirito. Un esempio lampante è già nel primo brano. L’esposizione della melodia da parte di clarinetti e primi violini all’unisono genera un effetto sonoro misto, insieme popolare e colto; l’asimmetria ritmica del canto è compensata dall’ostinato dell’accompagnamento, che introduce un elemento normativo per così dire della tradizione evidenziando però nello stesso tempo la freschezza e la naturalezza della vitalità popolare: irregolare solo perché dotata di altre regole. Ed è questo rispecchiamento dei due mondi a rappresentare l’aspetto creativo della composizione.
Ognuna delle sette danze, oltre al luogo di provenienza, reca un titolo che ne definisce il carattere e la destinazione d’uso. Abbiamo così, nell’ordine, Danza col bastone, Girotondo, Sul posto, Danza del corno, Polca rumena, Passettino di Belényes e Passettino di Nyàgra. Il riferimento a movimenti e passi di danza tipici delle diverse tradizioni contadine arricchisce la musica di connotazioni gestuali, accrescendo così l’evidenza plastica delle figure ritmiche e melodiche nel contesto tutto moderno del tessuto armonico e della veste timbrica.
Adam Fisher / Boris Belkin, Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Ente autonomo del Teatro Comunale di Firenze, Stagione di Concerti 1985