Attualità discografica

A

Stravinsky – Songs

Phyllis Bryn-Julson, soprano; Ann Murray, mezzosoprano; Robert Tear, tenore; John Shirley-Quirk, baritono; Ensemble InterContemporain, direttore Pierre Boulez

Deutsche Grammophon 20th Century Classics 431 751-2

 

Boulez e l’Ensemble InterContemporain, quattro solisti magnifici, un’esecuzione da brividi per un disco prezioso, che raccoglie l’opera vocale di Stravinsky in quattordici canti e cicli. Si ha un bel dire che Stravinsky non avesse una predisposizione naturale alla melodia, ai puri valori del canto, come asseriva per esempio Ernest Ansermet: l’ascolto di questo disco ci farebbe arrossire di vergogna per averlo solo pensato. Che si tratti di spunti della tradizione popolare russa, di nenie infantili o di caratteristici non sense (come in Pribaoutki), o invece di più mediati rifacimenti in stili esotici (le Tre liriche giapponesi) o di parodie dei linguaggi poetici e musicali di epoche antiche e moderne (In memoriam Dylan Thomas si basa su cinque suoni e quattro formule seriali, Elegy for John F. Kennedy è invece una composizione dodecafonica in piena regola), l’invenzione di Stravinsky è perentoria, e non tanto nell’accompagnamento strumentale semplicemente geniale quanto nella caratura dei gioielli della melodia. Una melodia sempre fortemente caratterizzata dal punto di vista ritmico, realizzata con un gesto che s’imprime nella memoria ed evoca suggestioni immediate. La disposizione in ordine cronologico di questi lavori, nei quali l’intento occasionale diviene quasi rivelazione di atteggiamenti privati e di ripiegamenti nell’intimità, consente di percorrere per frammenti l’arco dell’intera carriera di Stravinsky, dalla gioiosa estroversione della giovinezza fino alle estreme meditazioni funebri; dove proprio la nuda, ascetica verità della melodia sembra voler differire con un atto di solenne sacralità la fine di una recita stupenda, prima che cali definitivamente il sipario. E nessuno ha saputo come Stravinsky farci sentire il rimpianto di questa fine, cantandone non le esperienze negative e il tragico epilogo, ma la fiorente bellezza di ciò che è la vita rappresentata dalla musica, dal canto, nella serietà e nell’ironia. Un po’ sgomentante, ma istruttivo: da ascoltare per metà nei momenti tristi, per metà in quelli lieti.

Musica Viva, n.2 – anno XVI

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