Ascesa e caduta della critica musicale
Il mio intervento sarà breve per due motivi: primo perché quello che Capra ha anticipato inquadra perfettamente da un punto di vista storico l’argomento e non avrei niente da cambiare o da aggiungere; secondo perché credo che sia importantissimo fare un discorso storico sulla critica musicale, ma è ancora più importante che questo discorso storico si proietti poi sulla situazione attuale e inneschi un dibattito e quindi una discussione, un confronto. Nel titolo “”ascesa e caduta della critica musicale”” si vuole quasi disegnare una specie di arco a semicerchio, una parabola che ha un inizio, uno sviluppo e una fine. Si tratta ora di vedere se questa fine, se questo semicerchio sia in realtà appunto la metà di un cerchio e quindi il punto finale possa ricollegarsi all’altra parte: detto in altre parole, capire se la fine possa prevedere un nuovo inizio. Certo noi siamo un po’ tentati oggi di parlare di critica musicale anche da un punto di vista storico, forse innescando la stessa prospettiva storica nella situazione attuale, nell’ottica di un “”c’era una volta””. È chiaro che la critica musicale non è sempre esistita, se ne è fatto tranquillamente a meno per molti secoli direi, non solo ovviamente prima che venisse inventata la stampa, ma anche dopo: Cinquecento e Seicento non hanno esempi di critica musicale, il Settecento registra la presenza soprattutto di cronaca, sotto forma di resoconti dei viaggiatori che raccontano anche della musica, ma in un’ottica che ricondurrei più allo scrivere letterario di musica che non alla critica musicale vera e propria.
Mi sembra quindi che si possa dire, ovviamente molto sinteticamente quindi anche generalizzando un poco, che la critica musicale come noi la intendiamo, cioè come discorso e ragionamento sulla musica, nasca in realtà più tardi, quando si sente la necessità di fornire un supplemento di senso a una prassi che non si spiega più abbastanza da sé.
Oggi, giusto per parlare di attualità, se voi prendete, per esempio, la cronaca dell’apertura della Scala, non si tratta di una critica musicale, si tratta, appunto, di cronaca, di un resoconto in cui si parla di tante cose ma in cui non si affronta minimamente nemmeno l’aspetto, diciamo, della presentazione dell’opera o della sua realizzazione. Quando invece nasce l’esigenza di supportare con un discorso la musica stessa, magari sull’onda di movimenti innovativi che non si spiegherebbero da soli o che hanno bisogno di un complemento per farlo, ecco che allora si può dire che nasca la necessità della critica musicale. Da questo punto di vista i primi critici musicali sono gli stessi compositori; in un certo senso quando Beethoven inserisce un messaggio nella Nona Sinfonia compie un’attività che, a mio parere, può già prevedere un aspetto di critica musicale.
Proseguendo il discorso, la nascita della critica musicale è legata storicamente ai grandi movimenti innovativi; da quando, si potrebbe dire, la poiesis ha bisogno di una poetica che la aiuti a essere compresa. Nasce quindi come un fenomeno culturale elevato e complesso, che vola alto ed è strettamente legato alle attività del comporre. I primi critici musicali moderni sono i compositori che potremmo definire romantici, che debbono quindi, o vogliono, lanciare una nuova coscienza musicale per la quale non è sufficiente l’ascolto della musica, ma è necessaria un’integrazione che passi attraverso il linguaggio, il linguaggio della scrittura. Sotto questo aspetto, se vogliamo fare qualche esempio dei primi critici musicali moderni dobbiamo parlare, ovviamente, di Schumann, il quale nel 1833 fonda una rivista musicale proprio per dare un supporto a quella che è la sua nuova poetica, trovando all’interno di questa poetica chi sono i nemici, i filistei e chi sono i fratelli della lega di David. Da questo punto di vista Schumann rappresenta una figura che insegna anche una metodologia di critica musicale. Andando avanti, incontriamo naturalmente Berlioz: quello di Berlioz è un caso che amplia di fatto la stessa figura del critico. Berlioz fa il critico musicale sui giornali parigini, e lo fa per trent’anni della sua vita, quasi fino alla malattia, al 1864. Certamente Berlioz sviluppa una critica differente da Schumann, ma risulta simile nel voler, attraverso la stessa critica, imporre un’idea di composizione che è talmente innovativa da dover essere anche spiegata. Se poi si incrociano le due cose, se prendiamo in considerazione lo scritto di Schumann sulla Sinfonia Fantastica di Berlioz, notiamo una strategia straordinaria anche dal punto di vista del critico musicale, il quale tende a dire: «Ma credete, tutto sommato, non è che questa sinfonia sia proprio rivoluzionaria…», riuscendo a far passare l’effettiva novità di quest’opera attraverso una serie di collegamenti che, alla fine, dimostrano come in realtà questa sinfonia sia veramente una nuova concezione non soltanto della musica, ma anche del mondo, se vogliamo. E Berlioz divulga la critica attraverso le sue recensioni in un modo assolutamente efficace.
Proseguendo, alla figura del critico autore, in un certo senso militante – non in quanto critico ma in quanto compositore – subentra invece nel corso dell’Ottocento il profilo del critico che potremmo definire “”di professione”” che, in pratica, sulle pagine dei giornali e dei periodici svolge una funzione sociale assolutamente riconosciuta e integrata all’evolversi della musica ma non solo: è integrata anche in rapporto alla moda, al costume, alle convenzioni, alle tradizioni, alle innovazioni del tempo. Lo scrivere di musica qui è ancora qualcosa che rimane difficilmente individuabile tra la cronaca e la critica musicale, ma già tendente verso un tipo di – chiamiamola così – “”musicologia””. A questo proposito, sono completamente d’accordo con quello che sostiene Capra rispetto alla nascita della musicologia, ma la musicologia dell’Ottocento è altra cosa dalla musicologia successiva, perché è ancora qualcosa che sta all’interno del mondo musicale – questo è un passaggio molto importante – all’interno di un sistema sociale assolutamente riconosciuto e quindi nel quale la figura del critico è una figura non soltanto, appunto, riconosciuta, ma necessaria nello scacchiere generale della musica e delle sue manifestazioni. Comunque, il critico musicale di professione è naturalmente una figura che può influenzare profondamente il gusto non soltanto con la sua autorevolezza, ma anche con la sua posizione. Porto solo un esempio, tra i tanti che potrei citare: la figura di Hanslick. Eduard Hanslick su «La Presse» – il più importante giornale viennese dell’epoca – porta avanti una battaglia in quanto critico, non in quanto compositore, fiancheggiando una corrente musicale e avversandone un’altra, trovandosi dall’altro lato naturalmente Wagner, per il quale – se non può essere applicata la definizione di critico musicale in senso stretto – basta per esempio leggere i suoi scritti su Beethoven per comprendere che può essere comunque inserito all’interno di questa disciplina. È interessante notare, in quest’ottica, che le posizioni di Hanslick e Wagner si trovino poi, verso la fine dell’Ottocento, contrapposte. Concludendo la fase crescente del semicerchio, la critica musicale ha un ruolo fondamentale fino a quando partecipa, riconosciuta e necessaria, alla battaglia delle idee ed è strettamente legata all’attualità creativa.
Veniamo adesso al semicerchio che inizia la sua fase discendente. Si potrebbe dire, anche qui sintetizzando, che la critica musicale comincia a decadere quando non ha più una funzione di partecipazione attiva ma diventa commento a eventi e pratiche sociali consolidate. E qui si assiste, e siamo nel Novecento, a una sorta di esplosione, quasi di frammentazione della critica musicale intesa appunto come ragionamento e discorso sulla musica, come disciplina che aiuta a capire la musica, come disciplina fiancheggiatrice della musica e via dicendo. Veramente assistiamo a una sorta di proliferazione di figure molto diverse, le quali tutte quante sono e non sono “”critica”” all’interno della critica musicale, ma tutte quante partecipano a un cambiamento chiaramente non soltanto della musica, ma anche della società. Quello che accade tra le due guerre è, da questo punto di vista, abbastanza significativo, abbastanza istruttivo: abbiamo per esempio una critica meramente divulgativa e informativa, prevalentemente di servizio e, da un altro lato, troviamo invece una critica accademica, di accademica letterarietà: il racconto del funerale di Wagner fatto da D’Annunzio nel Fuoco è, a mio parere, uno degli esempi migliori di critica musicale alta, letteraria, che si possa immaginare. Naturalmente ci sono tanti esempi, in questo senso, di letterati che svolgono un’attività di riflessione sulla musica che ricama e fiorisce, e questo è importante dal punto di vista, diciamo, del rapporto fra linguaggio e musica: una critica che ricama e fiorisce – con un linguaggio immaginifico – le suggestioni, le sensazioni e le reazioni provate di fronte alla musica. Quindi, mentre da un lato il critico musicale tende a specializzarsi, a diventare sempre più legato a una specializzazione, dall’altro lato c’è un dilettante brillante che ha una funzione forse anche più importante e rientra a mio parere in quel processo di integrazione che avviene nella prima metà del Novecento in Italia tra musica e cultura. Vale a dire che l’essenza della musica entra in qualche modo – seppur tramite modalità inadeguate o comunque non perfettamente coerenti – in contatto con la cultura. Pensiamo ai primi del Novecento, ai Malipiero, ai Casella. A questo proposito accenno velocemente a due casi che sono emblematici di un cambiamento totalmente diverso: da un lato Schoenberg e dall’altro Debussy. Gli scritti di Schoenberg non sono critica musicale, sono un’altra cosa ma non sono nemmeno supporto alla propria musica, è qualcosa che ci spiega come il concetto di critica musicale o il concetto di riflessione musicale si stia ampliando e stia assumendo tratti completamente nuovi. Mentre gli scritti di Debussy sulla musica sono anch’essi, forse, non delle dichiarazioni di battaglia o dei proclami, ma qualcosa che già tende a vedere il discorso della musica come un discorso problematico in sé.
Poi nel corso del Novecento, fino alla seconda metà del secolo, emerge un fenomeno nuovo: la contrapposizione novità-repertorio. Noi sappiamo che, da un certo periodo in poi, è emersa appunto questa contrapposizione e quindi il critico si trova a doversi occupare non più tanto della novità, quanto di qualcosa che già esiste, di già consolidato. Allora è chiaro che scrivere sulla Traviata quando questa viene rappresentata la prima volta è una cosa; scriverne cento anni dopo, quando tutti ipoteticamente sanno cos’è La traviata già è una cosa diversa. Quindi la critica cambia anche per il rapporto con il suo tempo, nel momento in cui il repertorio si afferma. Naturalmente da questo momento si sposta l’attenzione sull’aspetto interpretativo, che poi è quello che noi oggi intendiamo da un punto di vista strettamente critico-musicale. In pratica, il critico musicale è per noi quella persona che si reca allo spettacolo e ci parla dell’interpretazione e quindi la critica musicale si focalizza progressivamente su tale ambito. A questo riguardo, occorrerebbe delineare una sorta di storia interna a questi passaggi, centrata sui cantanti, sui direttori d’orchestra, oggi sui registi. Anche qui esiste un processo, diciamo, in corso che dimostra come sia la critica musicale stessa ad adattarsi e non più a proporre. Direi che nel momento in cui a contare non è tanto l’oggetto in sé in quanto opera d’arte, ma la manifestazione o – utilizzando una parola diventata orrendamente d’attualità – l’evento, il critico non ha più una funzione propositiva, ma riveste semplicemente una funzione di documentazione, riportando dell’opera o del concerto soltanto alcuni aspetti. E questi aspetti sono legati all’attualità, che a sua volta non è più rappresentata dall’opera d’arte, ma dal suo contorno, dall’evento, appunto, in cui questa viene calata.
Per capire quello che è successo e per arrivare all’oggi, basta leggere un saggio scritto da Adorno nel 1962 intitolato L’opinione pubblica e la critica, e pubblicato, appunto, nello stesso anno nell’Introduzione alla Sociologia della musica: è la fotografia esatta di ciò che da quel 1962 porta a oggi.
Naturalmente Adorno – cito qualche frase – dice: «La questione relativa al rapporto dell’opinione pubblica con la musica si interseca con il problema che riguarda la sua funzione nella società attuale.[…] Ma questa funzione penetra, in modo esatto o distorto, nell’opinione della gente, e viceversa si ripercuote sulla funzione stessa, in un certo senso le dà forma a priori: il ruolo effettivo della musica si adegua in misura notevole all’ideologia dominante». E aggiunge che i mezzi di comunicazione di massa avrebbero nel tempo distrutto qualsiasi ragionamento critico; soprattutto la televisione – lo dice chiaramente – avrebbe talmente trasformato il mondo fino a cancellare l’idea stessa di critica, a meno che questa stessa idea di critica non si cali, appunto, in una battaglia politica tra un’ideologia dominante e un’ideologia che si ribella.
A questo punto occorre evidenziare ancora una volta che, in questo saggio del 1962, Adorno sembra descrivere esattamente la situazione attuale della critica musicale; egli sostiene che i mezzi di comunicazione di massa – e quindi la riproduzione, l’epoca della riproducibilità – annullano il senso critico, portano ad annullare fatalmente il senso critico, intendendo per senso critico appunto l’idea del ragionamento, della riflessione, della capacità di formarsi e di dare un giudizio.
Allora, la domanda con cui voglio chiudere riguarda appunto il semicerchio che può o non può diventare nuovamente cerchio: la domanda che infine dobbiamo porci – alla luce delle profezie di Adorno – è questa: nell’esaurirsi della critica musicale come attività di discorso critico sulla musica dobbiamo vedere una perdita di valore o una perdita di funzione?
Si tratta, insomma, di una questione di valore – vale a dire: la critica musicale non ha più un valore proprio? – o si tratta di una questione di funzione – e cioè la critica musicale ha una funzione che non è compatibile con quello che la società moderna nello stesso tempo richiede e offre?
Io credo che la riflessione sul valore della critica musicale sia fondamentale per capire davvero se questo semicerchio può diventare un cerchio, e quindi se la fine che noi oggi viviamo – credo anche abbastanza amaramente, avendo fatto questo lavoro credendoci – possa diventare un nuovo inizio.
La divulgazione musicale in Italia oggi, a cura di Alessandro Rigolli, Atti del Convegno, Parma, 5 e 6 novembre 2004, Quaderni ladimus, Edt, 2005.