Con l’avvento di Hitler al potere (1933) Arnold Schönberg, come tanti altri artisti europei di razza ebraica, fu costretto a emigrare negli Stati Uniti, dove insegnò prima a New York, poi a Boston e infine, per quasi dieci anni, all’Università di California di Los Angeles. Appartiene a questo periodo l’Ode to Napoleon Buonaparte op. 41 per voce recitante, quartetto d’archi e pianoforte, portata a termine nel giugno del 1942. Schönberg utilizzò il testo scritto da Lord Byron a Londra nel 1814 sull’onda della reazione alla notizia dell’abdicazione di Napoleone in favore dei Borboni. “”Byron””, osservò Schönberg in una lettera del 1948, “”rimase così deluso dalla rassegnazione di Napoleone che gli riversò addosso lo scherno più feroce; e credo di aver colto questo aspetto nella mia composizione””. Nell’interpretazione schönberghiana è però possibile anche vedere, nel simbolo di Napoleone abbattuto e umiliato, una chiara denuncia della tirannide hitleriana, evidenziata dai versi della seconda strofe dell’ode: “”Uomo nefasto, perché infierire sui tuoi simili che così umilmente piegarono il ginocchio? Divenuto cieco a forza di convergere i tuoi sguardi sopra te solo, hai insegnato agli altri a vedere. Con un potere incontestato, con la potenza di salvare, la tomba è stato il tuo unico dono per coloro che ti adoravano; né mai, prima che tu cadessi, i mortali poterono immaginare quanta piccolezza si nasconde nell’ambizione””. Nel finale della poesia, invece, Schönberg sembra alludere e interrogarsi sulla propria condizione di uomo e musicista in esilio: “”Dove può l’occhio stanco riposare quando si sofferma ad osservare i Grandi? Dov’è che riluce una gloria che non sia colpevole, un atto che non sia spregevole?””.
Prendendo posizione da uomo libero contro la dittatura nazista, Schönberg creò dunque un’opera di impegno dichiaratamente civile, “”politica”” nella misura in cui esprimeva per mezzo della musica l’indignazione e il monito di una scelta morale, ideale, spirituale. Da questo punto di vista l’Ode to Napoleon Buonaparte è uno dei più alti esempi di protest-music del Novecento, degno di stare accanto a La mort d’un tyran di Darius Milhaud (1936), Thyl Claes di Wladimir Vogel (1937-38), ai Canti di prigionia (1938-41) e al Prigioniero (1943-48) di Luigi Dallapiccola o a A Survivor from Warsaw (1947) dello stesso Schönberg. Proprio per rendere intelligibile il testo in tutta la sua drammatica violenza, descrivendo e illustrando il senso delle parole in modo da farle arrivare con chiarezza, Schönberg si servì in una forma quasi didatticamente semplificata di una voce recitante, affidandole il compito non soltanto di declamare ma anche di sottolineare ogni momento della declamazione stessa. La voce non intona, secondo la tecnica dello Sprechgesang (ossia del canto parlato), intervalli esattamente specificati, ma venne disposta secondo una linea che varia continuamente di altezza senza però richiedere un’intonazione precisa. Schönberg pose la massima attenzione alla notazione ritmica, in modo da aiutare l’esecutore a rispettarla scrupolosamente e a conformarsi all’andamento incisivamente scandito degli strumenti timbricamente differenziati.
Nell’Ode to Napoleon Schönberg si servì del sistema dodecafonico, ma lo fece in un modo per così dire temperato. Scrive Giacomo Manzoni: “”L’Ode to Napoleon è la prima composizione dodecafonica di Schönberg in cui egli modifica certe leggi che si era imposte nei primi anni di utilizzazione di questa tecnica. Innanzi tutto piega la serie a un trattamento in cui si presentano sovente raggruppamenti consonanti, a differenza di quanto aveva fatto nelle opere dodecafoniche precedenti. La fine del pezzo è suggellata da un accordo perfetto di mi bemolle maggiore, che potrebbe far pensare a un’allusione alla tonalità dell’Eroica di Beethoven”” (l’Eroica, come è noto, ha un nesso storico robusto e problematico con la figura di Napoleone). Fu Schönberg stesso a spiegare questo procedimento in una lettera a René Leibowitz: “”Non bisogna dimenticare che lo scopo principale della composizione dodecafonica è di raggiungere la connessione mediante l’impiego di una successione unitaria di note. L’intenzione non era di scrivere musica dissonante, ma di usare la dissonanza secondo un criterio logico, senza ricorrere ai procedimenti dell’armonia classica””. Ancora una volta si confermava la coerenza del compositore nel non fare della tecnica un fine bensì un mezzo: sotto questo profilo l’Ode to Napoleon rimane una delle sue opere più forti, più intensamente espressive e comunicative.
Fondazione Teatro San Carlo di Napoli ( Data da verificare)