Arnold Schönberg – Variazioni op. 31

A

Un’ascesa verso un ordine superiore

 

Iniziate a Berlino nella primavera del 1926 e terminate, dopo una lunga interruzione, a Roquebrune in Francia nell’estate del 1928, le Variazioni per orchestra op. 31 sono il primo lavoro strumentale di grandi dimensioni di Schönberg successivo all’istituzione del nuovo ordine dodecafonico. La ragione esterna di questa composizione, stando a una dichiarazione dell’autore stesso (Intervista con me stesso, del 6 ottobre 1928), fu dimostrativa: ritornando con questo pezzo all’orchestra tradizionale dopo aver sperimentato le leggi della “”composizione con dodici note”” in piccoli complessi, Schönberg intendeva sfidare le difficoltà pratiche che si opponevano alla diffusione del suo pensiero musicale, dal momento che il pubblico mostrava in generale di essere impressionato soprattutto da composizioni di organico piuttosto ampio (“”In nazioni di civiltà più recente i nervi, meno affinati, esigono il monumentale, ed è quasi impossibile allora non attirare l’attenzione durante l’esecuzione: se non altro così c’è sempre qualcosa da vedere””). Quanto alla necessità del metodo dodecafonico e alla sua definizione, Schönberg aveva e avrebbe affermato più volte di esservi giunto attraverso una graduale esperienza che lo aveva portato, quasi inconsapevolmente, su questa strada. “”Non fu né una via strettamente rigorosa, né un manierismo, come spesso accade nelle rivoluzioni dell’arte. Personalmente detesto di essere considerato rivoluzionario perché non lo sono. Ciò che ho fatto non fu né rivoluzione, né anarchia. Fin dai primissimi inizi ho sempre posseduto un senso assai sviluppato della forma e una forte avversione per l’esagerazione. Non v’è ricaduta nell’ordine, perché non ci fu mai disordine. Non v’è ricaduta in nessun senso: v’è solo un’ascesa verso un ordine superiore e migliore”” (lettera del 2 giugno 1937 a Nicolas Slonimsky).

Le Variazioni per orchestra op. 31 sono anzitutto un condensato di scienza contrappuntistica applicata al sistema dodecafonico: una sorta di Arte della fuga della composizione seriale. Infatti, per quanto Schönberg utilizzi ancora una forma tradizionale e operi un arricchimento dei mezzi espressivi attenendosi alla forma della variazione intesa soprattutto in senso ritmico-melodico, l’insieme che ne deriva, e il modo stesso in cui viene impiegata la serie di dodici note, configurano una costruzione musicale basata sulla variazione in divenire, aprendo la strada al principio della variazione integrale di tutti i parametri dello spazio sonoro (altezza, durata, intensità, timbro) che troverà in Webern il suo compimento. Di questa duplicità Schönberg era perfettamente consapevole. Nella fondamentale Analisi delle “”Variazioni”” op. 31, scritta per una conferenza tenuta alla radio di Francoforte il 22 marzo 1931, egli affermava: “”Le Variazioni per orchestra sono vicine senza dubbio a un tipo di impostazione sinfonica, anche se questo è contraddetto dal fatto che, per quanto le singole variazioni possano avere un’intima coesione, esse sono pur sempre allineate una dopo l’altra, giustapposte, mentre il processo sinfonico è un’altra cosa: in esso le immagini musicali, i temi, le figurazioni, le melodie, gli episodi si susseguono come scadenze del destino in una vita umana, in modo certamente assai vario ma pur sempre logico, collegato e interiormente coerente, costruttivo dal loro interno; non sono cioè puramente e semplicemente contrapposti. Forse questo paragone potrà chiarire la differenza: le variazioni sono come un album contenente vedute di un luogo o di un paesaggio, che vi mostrano singoli punti, mentre la sinfonia è simile a un panorama, dove certamente si potrebbe anche osservare ogni particolare per se stesso ma dove in realtà questi particolari sono strettamente collegati e intrecciati fra loro””.

Le Variazioni per orchestra sono dunque un’opera di tecnica rigorosa e di costruzione quasi geometrica, ma, come scrive acutamente Giacomo Manzoni, “”la sostanza musicale non si rovescia mai in aridità o accademismo. In effetti sotto questa veste puntuale freme e ancora si contorce la coscienza espressionistica dell’autore in un delirio raggelato che richiama le costruite allucinazioni di Kafka o gli spazi di Klee, increspati di impercettibili fremiti d’angoscia. L’impiego rigoroso dei principi compositivi della dodecafonia porta seco altresì una novità letteralmente clamorosa che da tecnica si capovolge in qualitativa, e costituisce una delle peculiarità più singolari dell’opera: stante il divieto posto da Schönberg di evitare nel metodo dodecafonico il raddoppio d’ottava, anche a scopo di rinforzo strumentale, queste Variazioni sono la prima composizione della storia dell’orchestra in cui ogni agglomerato sonoro si presenta privo di tali raddoppi, quali invece erano di uso del tutto corrente in qualsiasi composizione orchestrale anche nel campo della libera atonalità””. In questa direzione va anche il trattamento della strumentazione, che unisce alla massa dei normali strumenti ad arco e a fiato (questi ultimi a quattro) alcuni strumenti specificamente “”timbrici”” come l’arpa, la celesta, il mandolino, lo xilofono, il Glockenspiel, il flexatono (idiofono a frizione simile alla sega), il carillon e una nutrita schiera di percussioni, allo scopo di ottenere, all’interno dell’orizzonte polifonico, ricche rifrazioni timbriche e nuovi colori strumentali di segno caratteristico.

A ciò concorre anche la natura apertamente melodica del tema, presentato dopo una sezione di Introduzione nella quale gli incisi melodici costitutivi del tema stesso “”prendono rilievo a mano a mano in una sorta di bruma indistinta”” (ancora Manzoni): vi compare, simbolicamente, la citazione del motivo di quattro note legato al nome Bach (in notazione tedesca: si bemolle, la, do, si naturale), destinato in seguito a svolgere un’importante funzione di raccordo tra inizio e conclusione. Il tema delle variazioni, esposto dai violoncelli e concluso dai violini, assomma tutte e quattro le forme della serie, nell’originale e nella trasposizione alla terza minore. Le successive nove variazioni, ciascuna di carattere assai ben profilato, rispecchiano esattamente l’articolazione formale del tema. La prima lo presenta negli strumenti gravi, con figurazioni varie, assegnate a parti ora principali ora secondarie. Nella seconda variazione il primo violino e il primo oboe presentano l’inversione del tema in imitazione a canone: questa variazione, in tempo lento, ha carattere cameristico, in quanto impiega quasi solo strumenti solistici. Nella terza variazione, di carattere impetuoso e appassionato, il tema è affidato prima ai corni e poi alla tromba, in un crescendo travolgente di energia sonora e ritmica. Segue una variazione in tempo di valzer (un valzer “”idealizzato, lento, cantabile, che assomiglia al Ländler””, precisa l’autore), con il tema appena riconoscibile eseguito da tre strumenti soli (arpa, celesta e mandolino) e la melodia principale assegnata all’inizio al flauto, poi al clarinetto, infine ai violini. La quinta variazione, quella centrale, è forse la più complessa: essa è costituita da molti elementi che vengono incessantemente variati sull’ostinato di un ritmo angoloso introdotto dai tromboni e riflesso in sincope nel registro grave (difficile all’ascolto notare come questo ritmo comprenda in sé le note del tema). La sesta variazione è un Andante di intonazione cantabile, nel quale il tema ricompare distesamente in forma di accompagnamento ai tre violoncelli solisti. Con la rarefatta settima variazione spicca in primo piano l’elemento timbrico: mentre una figurazione che è svolta come parte principale passa di strumento in strumento, il tema volteggia all’estremo acuto affidato inizialmente a ottavino, Glockenspiel, celesta e quattro primi violini soli. L’ottava e la nona variazione, entrambe assai brevi, in tempo “”molto rapido”” (ma “”un poco più lento”” la seconda), possono essere accomunate in quanto si basano sulla stessa figurazione tematica e sono di carattere analogo: irruente e fremente la prima, più distesa e cameristica la seconda, con carattere quasi di marcia funebre. Eccoci ora al vasto finale, sorta di “”sentenza”” riassuntiva. Esso inizia con una introduzione che richiama nuovamente il nome di Bach in maniera particolarmente solenne; seguono una serie di ulteriori elaborazioni del tema delle variazioni, in molte varianti, forme a specchio e diminuzioni, con alternanza di tempi mossi, moderati e rapidi. “”Nel finale”” – spiegava Schönberg – “”non si sentirà più il tema delle variazioni in tutta la sua estensione, ma solo scomposto in frammenti, in singole tessere che vengono collegate tra loro in modo diverso””. Prima del Presto si ha ancora l’interruzione di un Adagio, dove il tema delle variazioni riappare in sovrapposizione contrappuntistica.

Le Variazioni per orchestra op. 31 di Schönberg furono eseguite in prima assoluta il 2 dicembre 1928 a Berlino da Wilhelm Furtwängler nella stagione dei Berliner Philharmoniker. Il programma comprendeva anche la prima esecuzione alla Filarmonica della cantata per baritono e orchestra Lethe op. 37 di Hans Pfitzner, un’aria dalla Euryanthe di Weber e la grande Sinfonia in do maggiore di Schubert. L’accoglienza fu disastrosa, tanto che alla ripetizione del concerto, il 3 dicembre, il pezzo di Schönberg venne tolto dal programma. Può essere utile riportare quanto Schönberg osservava nella già citata analisi delle Variazioni: “”Questa è la mia situazione: sono in minoranza non solo nei confronti degli amici della musica leggera, ma anche di fronte agli amici della musica seria. A nessuno viene in mente di essere ostile agli eroi che osano affrontare il volo transoceanico o al polo nord, in quanto la loro impresa risulta subito palese a tutti. Ma benché l’esperienza abbia dimostrato che molti uomini erano pionieri già da lungo tempo, e che si trovavano sulla giusta via quando ancora li si riteneva esploratori con qualche rotella fuori posto, l’ostilità della maggioranza si rivolge sempre contro coloro che si spingono verso l’ignoto nei campi dello spirito””.

Zubin Mehta / Arcadi Volodos, Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
64° Maggio Musicale Fiorentino

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