«Dal loro mondo»
Dvořàk compose nove Sinfonie in un periodo di tempo che va dal 1865 al 1893. Non si tratta però di un insieme omogeneo nel quale sia possibile riscontrare la traccia di una evoluzione. Le prime quattro Sinfonie (1865-74) non furono ritenute dall’autore degne di apparire e rimasero escluse dal suo catalogo fino al riordino compiuto nel 1960 da Jarmil Burghauser, che ripristinò la successione originaria in base alla cronologia delle composizioni. Prima di allora le ultime cinque Sinfonie erano numerate nell’ordine in cui Dvořàk le pubblicò, diverso da quello di composizione. Ciò ha generato non poca confusione nel suo catalogo. Così la Sinfonia in sol maggiore (l’unica pubblicata da Novello a Londra nel 1892, e perciò detta impropriamente “”Inglese””) vi figurava in origine come Quarta, mentre oggi è qualificata come Ottava; essa sta al centro del trittico al quale Dvořàk fu debitore anche in vita della sua fama nel genere sinfonico: dopo la Settima in re minore (1885, un tempo Seconda) e prima della Nona in mi minore, la celebre Sinfonia “”Dal nuovo mondo”” del 1893, Quinta secondo il vecchio ordine. Composta in poco più di due mesi tra il 6 settembre e 1’8 novembre 1889 ed eseguita per la prima volta a Praga il 2 febbraio 1890 sotto la direzione dell’autore, l’Ottava Sinfonia appartiene dunque alla piena maturità del compositore e ne esprime alcuni degli umori più tipici.
Dvořàk non fu in alcun modo un rinnovatore della forma. Le sue Sinfonie mantengono il consueto schema classico in quattro movimenti, con una alternanza equilibrata di momenti di maggiore tensione nei tempi estremi, di distensione lirica e di movenze di danza in quelli centrali. Il materiale musicale è fortemente impregnato di ritmi e melodie popolari, e il loro uso si adatta magnificamente ad esprimere la comunicativa diretta della cantabilità slava, con i suoi richiami pastorali alla vita paesana e alla tradizione del folklore, in un linguaggio diretto e di segno costruttivo. Le sue immagini rappresentano stati d’animo che si rifanno a un mondo originario e spontaneo di suggestioni e di simboli immediamente traducibili in un naturale fluire del discorso musicale, a cui la felicità melodica e la cura della strumentazione conferisce un carattere di gradevolezza e di brillantezza non comune.
La Sinfonia in sol maggiore ha un’impronta di serenità e di levità che discende da una calma interiore raggiunta, forse anche dalla consapevolezza di un proprio ambito che Dvořàk si era conquistato nel solco della grande tradizione sinfonica tedesca dell’età romantica. Se Brahms era il suo punto di riferimento più vicino, in questa Sinfonia il pensiero corre spontaneamente a Schubert, sia per la profusione delle melodie che quasi aspirano a farsi valori di per sé significativi, sia per la tendenza a indugiare in sospensioni evocative, con frequenti oscillazioni fra modo maggiore e modo minore e ritorni ciclici di sezioni tematiche chiuse in se stesse. Più che nell’audacia di complesse elaborazioni, il fascino di questa musica sta nell’assoluta evidenza delle idee poetiche che si incarnano in ritmi elementari di immediata presa e in suggestive atmosfere timbriche, in figure musicali che si imprimono nella memoria ancor prima di aver raggiunto la loro completa espansione sonora.
Caratteristico è già l’inizio, con un appassionato cantabile dei violoncelli in sol minore che sfocia nel modo maggiore in un motivo gorgheggiante del flauto, enunciato dapprima come una eco lontana della natura e poi dilatato fino a diventare una fanfara solenne, dai colori accesi e squillanti. In questo passaggio dalla estroversione iniziale alla gioiosa ebbrezza della piena effusione sinfonica si può riscontrare una costante del modo di procedere di Dvořàk, per così dire il sentimento di fondo che guida l’intero percorso della Sinfonia. Nel secondo movimento il paesaggio spirituale muta, si trasfigura nel clima dell’Adagio e sconfina verso l’intimità più raccolta e meditativa, in un alternarsi di stati d’animo tra il malinconico e il fiero, il nostalgico e l’elegiaco (vi si può sentire all’inizio una fugace reminescenza della marcia funebre dell’Eroica di Beethoven). Nel terzo tempo troviamo uno degli episodi più memorabili di tutta l’opera di Dvořàk, un leggiadro, sognante tema di valzer che prende corpo sul cullante ritmo di 3/8 per compiere a poco a poco, dopo l’affermazione in maggiore del Trio, quasi una apoteosi della danza. L’ultimo tempo si apre con una fanfara militaresca delle trombe che aggiunge allo stile della Sinfonia una nota vigorosa e sgargiante, dalla quale si origina quasi una sintesi degli atteggiamenti che l’avevano contraddistinta, per liberarsi in una tumultuosa e non più contraddetta esplosione di luminose energie vitali.
Lü Jia / Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Ente autonomo del Teatro Comunale di Bologna, Concerti Sinfonici 1991-92