Anton Webern – Passacaglia op. 1 per orchestra

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Anton Webern – Passacaglia op. 1 per orchestra

 

La bellisima testimonianza data da Anton Webern in uno scritto del 1912 del suo periodo di studi con Schoenberg (a Vienna, dal 1904 al 1908) è la migliore indroduzione all’ascolto della Passacaglia, l’opera che significativamente apre il catalogo delle sue proprie composizioni. Scrive dunque Webern: “”Schoenberg non insegna alcuno stile, non predica l’impiego né di mezzi vecchi, né di mezzi nuovi. Lo scolaro deve imparare ad operare ciò che non dovrebbe adoperare, qualora volesse essere artista. Il Maestro esige, anzitutto, che l’allievo, negli esercizi che prepara per le lezioni, non scriva note qualsiasi, tanto per eseguire un compito scolastico, ma che faccia questi lavori partendo da un’esigenza espressiva; insomma, che egli effettivamente “”crei”” sin dai primi inizi della composizione musicale. Tutto ciò che Schoenberg spiega poi all’allievo, basandosi sul lavoro di questo, risulta organicamente dal lavoro stesso: egli non aggiunge nessun altro insegnamento dal di fuori. Così egli educa effettivamente alla creazione. Questo significa portare alla massima sincerità verso se stessi. Una simile educazione coinvolge anche tutti gli altri campi della vita umana, oltre a quello puramente musicale””.

Terminata nel maggio 1908 ed eseguita pubblicamente a Vienna nel novembre dello stesso anno, la Passacaglia segna la fine del tirocinio con Schoenberg e l’entrata di Webern nel campo delle esperienze compositive personali, alla ricerca dell’autonomia (ossia, secondo l’insegnamento del Maestro, della necessità e della sincerità) linguistica ed espressiva. Benché si tratti di un lavoro saldamente impiantato sulla tradizione (quella barocca della forma, quella classica dello stile, quella romantica della sensibilità armonica e timbrica, riunite in un modello non troppo lontano, che è Brahms), la Passacaglia racchiude molti tratti che saranno poi tipici di Webern. Per esempio l’estrema concentrazione del materiale e delle sue elaborazioni in rappporto alla durata (circa dieci minuti) e all’organico (quello della grande orchestra ottocentesca); o la rigorosa coerenza dei nessi compositivi, in una scrittura di trasparente chiarezza e precisione; o, ancora, l’elasticità del ritmo e la rinuncia allo sviluppo dialettico dei temi, che al concetto di sospensione temporale degli eventi musicali collega quello, insito nel materiale stesso, di sospensione della tonalità.

La stessa interpretazione della forma barocca della passacaglia (serie di variazioni sopra un basso ostinato) è liberamente estesa sino a intrecciarsi con il principio schoenberghiano della variazione continua: degli incisi tematici (già nel tema, affidato al pizzicato degli archi all’unisono, il secondo inciso è la figura retrograda del primo), del ritmo, del timbro, della dinamica; ossia di tutti i parametri compositivi classici. Inoltre, Webern abbandona il ritmo ternario di danza ch’è proprio della passacaglia in favore di un più neutro, severo metro binario, quasi a voler togliere ogni traccia di convenzionale imitazione. L’aspetto costruttivo è ciò che soprattutto l’attrae nella Passacaglia, con una forma di autoimposta disciplina capace di sciogliersi nell’emozione della scoperta di nuovi orizzonti espressivi, non più soltanto intuiti ma realizzati con mano ferma e sicura. Al punto da non precludersi neppure la tenerezza del calore lirico, valore di cui sempre più Webern avrebbe sentito la raggelante nostalgia, quando altri compiti individuali e storici lo spinsero nel cammino verso la nuova musica.

Gianluigi Gelmetti / Orchestra sinfonica della Rai  di Torino
Auditorium “G. Agnelli” Lingotto di Torino, Stagione di Primavera 1988

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