La Sinfonia n. 7 di Bruckner
Preda di quella “”genuina febbre della Sinfonia”” che perfino il suo grande rivale Brahms non esitò questa volta a riconoscergli, Bruckner pose mano a quella che sarebbe divenuta la sua Settima Sinfonia (in realtà la nona, se si contano le due giovanili rimaste nel cassetto) il 23 settembre 1881, a soli venti giorni di distanza dal completamento della Sesta. La composizione del primo tempo – il cui primo teina, come Bruckner riferì, gli era apparso in sogno, sotto forma di un assolo di viola, poi rielaborato nella meravigliosa cantilena dei violoncelli – si intersecò con quella di altri lavori di non secondaria importanza, fra i quali il Te Deum. Poi Bruckner s’interruppe, passando il 14 luglio 1882 alla stesura dello Scherzo, per terminarla il 16 ottobre. Durante l’estate, a Bayreuth, aveva assistito alla prima rappresentazione del Parsifal, riportandone un’emozione enorme, definitiva. Tornò quindi, come rigenerato da una nuova certezza, al primo tempo della sua Sinfonia, che fu pronto il 29 dicembre. Dal 22 gennaio al 21 aprile 1883 lavorò all’Adagio: senonché il 13 febbraio, quando già aveva composto 180 misure pressoché complete, morì a Venezia Richarel Wagner; e Bruckner, che più tardi avrebbe dichiarato di aver concepito tutto l’Adagio quasi nel presagio della scomparsa del musicista da lui più venerato, aggiunse altre 39 battute di una Coda, ode funebre per la morte del suo eroe, solennemente intonata da quattro tube wagneriane. Dopo questa catastrofe, assorbitone il lutto, nacque il Finale, in meno di un mese, dal 10 agosto al 5 settembre 1883. La partitura fu pubblicata dall’editore viennese Gutmann soltanto nel 1885, con la dedica al re Luigi II di Baviera.
Le peripezie che precedettero la prima esecuzione rinfocolarono, secondo un rituale ben noto, vecchi pregiudizi. Fu ancora una volta un calvario, con tutto che Bruckner, dopo il grande successo riportato nel febbraio 1881 dalla Quarta Sinfonia, proprio in quella Vienna che tanto sembrava rimanergli ostile, avesse acquistato una sufficiente consapevolezza del proprio ruolo di sinfonista. Prima ancora che l’Adagio fosse terminato, nel febbraio 1883, c’era stata al Bösendorfer Saal di Vienna un’esecuzione del primo tempo nella riduzione per due pianoforti approntata dal fedele Josef Schalk; un anno dopo, il 27 febbraio 1884, Shalk e Ferdinand Löwe presentarono nella stessa sala tutta la Sinfonia, sempre nella riduzione per due pianoforti: versione nella quale essa venne offerta altre volte all’ascolto, senza tuttavia che si pervenisse alla decisione di eseguirla nella veste originale. Finalmente Arthur Nikisch, che era stato allievo di Bruckner ma non si era ancora del tutto convertito alla sua arte, si disse disposto a esaminarla. Dopo molti tentennamenti si fissò la data dell’esecuzione al 27 giugno 1884, ma insorsero nuove difficoltà. Solo il 30 dicembre di quell’anno la Sinfonia ebbe la sua prima esecuzione, non a Vienna bensì a Lipsia, con grande successo di pubblico e quasi unanime consenso di critica. La riprese a Monaco Hermann Levi nel marzo dell’85, dopo che la Coda dell’Adagio dedicata a Wagner era risuonata per ben tre volte, con senso iniziatico, in una sala buia e vuota alla presenza di Luigi II, come postludio a una rappresentazione della Walkiria. In maggio Felix Motti celebrò l’Adagio a Karlsruhe davanti a Franz Liszt. Rimaneva Vienna, dove fu possibile dare integralmente la Sinfonia solo il 21 marzo 1886, con Hans Richter sul podio della Filarmonica: il grande entusiasmo dei più (Johann Strauss, il re del valzer, dichiarò in un telegramma di congratulazioni che quella era stata la più grande impressione della sua vita) ripagò Bruckner del furibondo boicottaggio messo in opera dal nemico giurato Eduard Hanslick, il quale era giunto a protestare pubblicamente contro l’esecuzione della Sinfonia ed era riuscito a far sí che il concerto fosse spostato a mezzogiorno e mezzo di domenica, in modo da scoraggiare l’affluenza del pubblico. La recensione sulla “”Neue freie Presse”” risultò gonfia di insulti grossolani: «La sua musica mi pare innaturale, ridondante, malaticcia, in una parola caduca». Ciononostante la Settima andò presto affermandosi come la più compiuta composizione di Bruckner, conquistandosi un posto di rilievo nel repertorio dei maggiori direttori di tutto il mondo. Ed è un primato che mantiene ancora oggi. Da noi fece capolino per la prima volta il 20 dicembre 1896, allorché il ventinovenne Arturo Toscanini ne diresse a Torino l’Adagio: Bruckner era morto da poco più di due mesi, e la trenodia per Wagner ebbe l’effetto di una Trauermusik in ricordo dell’autore stesso.
La Settima è dunque la più nota ed eseguita tra le Sinfonie di Bruckner, ed è probabilmente il suo capolavoro in senso assoluto. In essa trovano espressione quanto mai compiuta, equilibrata e alta, le istanze che informano lo stile sinfonico di Bruckner: misticismo, sensualità, candore, dottrina, fede e inquietudine; il tutto come in una estrema, maturata decantazione dell’esperienza romantica, assunta nello spirito dell’ascesi, dilatata in amplissime campiture formali, in strutture compositive beatamente sterminate, sospese nella tesa contemplazione di una eterna armonia naturale. Nella Settima ciò si traduce in musica universale sotto il segno di una fluida e distesa discorsività. Si è parlato a questo proposito di un tentativo di emulare Wagner nella eloquenza maestosamente effusiva del discorso sinfonico drammatizzato: in realtà la chiarezza spirituale che regola anche i momenti più grandiosamente complessi della Settima, ove non mancano apocalissi sonore e visioni cosmiche, va ricondotta a una interna maturazione del mondo espressivo di Bruckner, contraddistinta da una speciale felicità di invenzione tematica e riprodotta sul piano esterno da un più sicuro, personale intuito formale.
Questa maturazione è prefigurata da un’opera in tante cose disuguale e traballante come la Sesta (Sinfonia <<intima e teologale, fantastica e solare», secondo la bella definizione di Gianandrea Gavazzeni): passaggio obbligato che prepara le solenni e purificate meditazioni della Settima, dove liricità e cordoglio, trascendenza e immanenza convivono con un acceso vitalismo, tanto raccolto quanto esteriorizzato. Non per caso Sesta e Settima furono le uniche Sinfonie che Bruckner non tormentasse di rifacimenti e revisioni; l’una proprio perché “”superata”” dalla chiarificazione che a essa seguì; e questa talmente perfetta da non richiedere ulteriori ritocchi. Un solo problema filologico sussiste, per la Settima, ed è quel colpo di piatti e triangolo che marca il culmine dell’Adagio, al termine del grande crescendo in do maggiore che prelude alla Coda in memoria di Wagner. I due strumenti non figurano in alcun altro luogo della partitura ed è certo che Bruckner li aggiunse a cose fatte, dietro insistenza di Nikisch o forse di Schalk, curatore dell’edizione a stampa, per sottolineare il carattere dirompente di quel grandioso cataclisma sonoro che corona la monumentale ascesa armonica e dinamica della pero-razione a piena orchestra. Accolto nelle edizioni critiche, questo tocco di stnimentazione non originale è talvolta soppresso dai direttori. Armoniosamente la Settima fonde in sé i mondi più disparati: dalle torturanti locuzioni armoniche di Wagner alla “”celestiale lunghezza”” del sinfonismo di Schubert, dalla religiosità domestica di espressioni ingenue e popolari che sanno cli parrocchia di campagna alla grandeur sonora di maestose liturgie organistiche, controriformistiche e imperiali, dai semplici abbandoni lirici al possente anelito all’infinito. Tutte queste suggestioni sono cucite insieme in un disegno formale che non è meno solido e logico per esser dilatato fino al limite di guardia, profeticamente proteso sull’abisso. La grande avventura dello spirito intuisce la tragedia, ma si appoggia ancora a incrollabili certezze; donde la solennità luminosa che nella Settima sembra avvolgere anche gli slanci più arditi. Solenne è già l’avvio del primo movimento, Allegro moderato, con il primo tema che ascende quasi parsifalianamente vette immacolate, contro la fascia iridescente del tremolo che con tipico stilema bruckneriano introduce due motivi, organistico l’uno, esposto dai fiati, balzante e incisivo l’altro. Il tempo si dipana con distesa continuità, attraverso massicce elaborazioni contrappuntistiche ed elastiche alternanze, fino alla lucente magniloquenza della conclusione.
Tutto concentrazione, quintessenza della melanconia romantica, è il lungo Adagio, solennissimo già nel titolo, Sehr feierlich und sehr langsam: con due soggetti, gonfio di commossa espressività il primo, l’altro tenero e sereno.
Oscillando tra questi due poli emotivi il brano esplora le zone più riposte della meditazione, toccando l’innocenza più candida come la più profonda riflessività. Poi il lunghissimo e scandito crescendo, avvolto dalle tormentate spire del contrappunto degli archi, fino all’esplosione, al punto di rottura senza ritorno, che resta tale con o senza la sciabolata dei piatti: una folgorazione che introduce l’epica luttuosa dell’omaggio funebre a Wagner, nei timbri inconfondibili di quelle quattro tube che Bruckner mutuò con fede religiosa (una religione dell’arte) dalle partiture dell’autore della Tetralogia.
Lo Scherzo, squillante e quasi guerresco, Prestissimo, è un invito a scuotersi e a rigenerarsi. L’affiato epico che ne informa lo scalpitante impulso ritmico determina un momento di olimpica positività, attestata sul movimento ostinato di poderose masse sonore, e aperta a oasi pastorali nel “”Trio””, Un poco più lento. Nel Finale, Mosso ma non presto, l’unità tematica della Sinfonia appare in evidenza, particolarmente nei richiami al primo movimento: secondo la prassi consueta di Bruckner, questo tempo si svolge in un ininterrotto crescendo di tensioni, verso un’ultima, vigorosa affermazione di fede non soltanto religiosa, ma anche musicale: privilegiando sempre di più, nell’ampio panorama emotivo, la dimensione eroica, fusa con l’anelito mistico sotto l’impronta di uno slancio a tratti perfino irruento, che culmina in un granitico addensarsi di sonorità. E qui, nella prospettiva aperta all’orizzonte, l’infinito diviene acquisizione di tempi e spazi posseduti nella loro concreta interezza.
Valery Gergiev / Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Stagione sinfonica 1997-98