Amadeus senza podio

A

Inconsueta direzione di Harnoncourt a Ferrara Musica


Ferrara
– Qual è il vero Harnoncourt? Quello di una volta, che officiava con rigore solenne i riti della musica antica e della prassi esecutiva con strumenti originali spingendosi al massimo fino a Sebastian Bach, o quello di oggi, che affronta risolutamente il repertorio classico e romantico, con orchestre tradizionali e piglio disinvolto, nient’affatto accademico? La domanda sorgeva spontanea già dopo il primo concerto del ciclo autunnale di «Ferrara Musica» con la sempre ammirevole Chamber Orchestra of Europe, nel quale Harnoncourt ha diretto un programma tutto mozartiano, la Sinfonia in mi bemolle maggiore K.543 e la Juppiter separate dal Concerto per violino K.216 (solista di spettacolare bravura Marieke Blankestijn, primo violino dell’orchestra); ma si riaffaccerà certo anche nei due concerti successivi, che oltre a completare il ciclo delle ultime Sinfonie di Mozart punteranno sul Mendelssohn delle Ouvertures, della Terza e Quarta sinfonia.

Intanto c’era davvero di che rimanere sorpresi da questo Mozart di Harnoncourt: proposta in un’interpretazione filtrata sì da tecniche esecutive d’epoca ma apertamente tesa a illustrare non il significato storico di una musica cristallizzata in schemi, bensì la sua forza espressiva, la sua capacità di parlare all’ascoltatore con immediatezza e carattere. E proprio il restauro di certi modi d’esecuzione andati perduti nelle consuetudini posteriori (per esempio le appoggiature in levare, il vibrato differenziato timbricamente e dinamicamente, la tecnica dei colpi d’arco e i diversi tipi d’attacco del suono) era la chiave per aprire le porte di una visione non scontata e appiattita di questa musica.

L’idea di base è che la novità introdotta da Mozart nelle ultime Sinfonie sia da ricercare in un senso drammatico molto sviluppato, che va al di là dello stile definito classico. Invano si attenderebbe da Harnoncourt il bel suono morbido e levigato, il legato ampio e rotondo, le simmetrie che cementano la forma. Al contrario, il suono è nervoso e ruvido, i tempi serrati e scattanti anche negli Andanti e nei Minuetti (pur rispettando tutti i ritornelli non si arriva comunque alla mezz’ora), i piani sonori sbalzati e l’agogica costruita per ondate di crescendi e diminuendi, per brusche strappate e contrapposizioni. Rinunciando al podio e alla bacchetta, Harnoncourt sembra quasi voler entrare fisicamente in contatto con ciò che l’orchestra esegue, e plasmarne la materia senza mediazioni. Non batte quasi mai il tempo, ma ricama con gestualità direttoriale personalissima – evidentemente modellata sulla lunga frequentazione con la musica preclassica, vocale e strumentale – i collegamenti fra le sezioni e le parti, in un impeto incalzante: talvolta squadrato e aspro, si permette però anche libertà contrastanti, prima fra tutte quella di cambiare il tempo di esecuzione all’interno dei movimenti, ora frammentando il discorso ora sottolineandone la tensione verso la continuità. Così il non eccelso Concerto per violino reinventa un virtuosismo parodistico di scuola italiana, la Sinfonia in mi bemolle ha accenti estremamente marcati, passaggi irruenti e tumultuosi; e quando alla fine la fuga della Juppiter assume le proporzioni riconoscibili di una gigantesca cattedrale eretta sulle fondamenta di Bach, tutto un processo storico sembra saldarsi in evidente logica, giungendo fino a noi con la sua audace compiutezza. Si può non essere d’accordo con questa visione parziale, ma certo eravamo di fronte a un Mozart vivo, non omologato e appiattito dalla routine.

 

Nlkolaus Harnoncourt dirige la Chamber Orchestra of Europe a Ferrara (prossimi concerti i1 10 e 12 ottobre)

da “”Il Giornale””

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