La cosa che prima di tutto potremmo impegnarci a fare per celebrare degnamente il bicentenario della morte di Mozart è smetterla di chiamarlo “Amadeus”. E non solo perché ormai non se ne può proprio più di sentirlo apostrofare così da chiunque se ne occupi anche di sfuggita, magari per un articolo di cronaca o un titolo sui giornali, un po’ come accadeva, si parva licet, con il famigerato “Sua Emittenza”. Questi modi di dire sono non solo fastidiosi nella loro insulsa spiritosaggine, che caso mai può andare bene una volta e mai più, ma anche, per Mozart, fuorvianti. Inutili, e storicamente falsi. Abbiamo smesso, grazie al cielo, di definire Haydn “papà”, e Beethoven “il titano sceso dal nord”. Ma con Amadeus è anche peggio. In quell’epiteto si esibisce una untuosa confidenza, una familiarità millantata e invadente che non ha nulla a che fare con il personaggio a cui son destinate. Mozart non avrebbe permesso a nessuno di trattarlo così. Neppure per dimostrargli la nostra ammirazione e la nostra solidarietà (e perché mai?) o il nostro bisogno di sentircelo vicino. Su quell’Amadeus avrebbe probabilmente ricamato uno dei motti scurrili che lo contraddistinguevano, e che piacciono tanto a chi ha scoperto l’acqua calda: che cioè il genio, quanto più genio è, tanto più manifesta risvolti di un carattere che l’uomo qualunque non confesserebbe mai di avere. A Mozart quell’Amadeus un po’ pomposo (non immaginava certo che un giorno sarebbe divenuto di moda) inserito dopo il nome vero, Wolfgang, non piaceva né punto né poco. Mai, in vita sua, lo usò da solo in questa forma. Semmai lo francesizzava o italianizzava in Amadé o Amadeo, con un tratto di ironia o di gioiosa compiacenza. Amadeus non è mai esistito. Ha incominciato però a furoreggiare dopo un film che di Mozart dava un’immagine popolare, superficialmente attraente, con effetti che si dovevano rivelare devastanti. Tutti, da allora, si son sentiti autorizzati a sapere chi e come fosse Mozart. Ogni epoca ha il suo modo di vedere le cose, la nostra impazzisce per le volgarizzazioni di massa, e si ritiene contenta di poter dire che due più due fa quattro. Compreso, sia chiaro, lo spot che ci sta in mezzo: una versione più attuale dei Mozart-Kugeln, non a caso distribuiti alle gentili signore (e perché mai solo a loro: piace anche a noi maschietti) alle inaugurazioni del Comunale di Bologna (nel Don Giovanni secondo Ronconi, forse da gustare in chiesa al posto dell’ostia) e della Scala.
Ma se pensassimo di inaugurare l’anno mozartiano con queste premesse, sbaglieremmo di grosso. O almeno, diciamo che noi ci tiriamo fuori. Per noi Mozart è Mozart e basta. Un nome da pronunciare con reverenza, senza false modestie – perché tutto di lui ci appartiene, e mai potremmo rinunciarvi –, ma anche senza ammiccare e prenderci troppe libertà. Basta con le falsificazioni grossolane che, a furia di esser ripetute, finiscono per sembrar vere. Basta con la presunzione di aver capito tutto là dove, oltretutto, non c’è proprio niente di nuovo da capire e soprattutto da scoprire, ma solo da rispettare e accettare così come veramente è.
Il bicentenario della morte di Mozart dovrebbe semplicemente essere una ricorrenza di cui prendere atto, sforzandoci semmai di riflettere su ciò che già è penetrato dentro di noi, e che tuttavia mai cesserà di sgomentarci. Forse che Mozart è diverso, per noi, a 199 o a 201 anni dalla morte? Non continua, e continuerà, ad accompagnarci sempre in ogni momento della nostra vita? Dimenticare Amadeus significa anche ricevere con animo grato ciò che il vero Mozart ci ha dato, facendo piazza pulita di tutte le bugie, i luoghi comuni e le sofisticazioni.